Le autocrazie salde e sicure, l’occidente a «zig zag»
Mentre in Cina il presidente Xi serra i bulloni di un sistema tranquillamente autoritario, in Russia le elezioni rafforzano la presa sicura di Vladimir Putin, al potere dal Duemila: il 18 marzo «lo zar» correrà in solitaria e senza strepiti verso il quarto mandato. E davanti a questa dimostrazione di accresciuta solidità, l’occidente democratico in ordine sparso come risponde? Alzando a ripetizione quelle che nel Monopoli corrispondono alle carte degli «Imprevisti» (o delle «Probabilità»).
Per molto tempo sono stati autocrati e dittatori, dal re africano Bokassa agli inquilini del Cremlino, a detenere il patentino opaco dell’imprevedibilità al volante. Dalle loro «bizze» potevano dipendere le sorti di una regione o del mondo. Anche le loro manifestazioni di forza, dalle parate militari del vecchio Saddam Hussein all’invasione dell’afghanistan ordinata dalla morente Unione Sovietica, venivano lette come segni evidenti di una debolezza strutturale. Davanti a quello spettacolo fatto di leader inamovibili e scelte arbitrarie, l’occidente offriva di sé l’immagine di un «usato sicuro», una macchina che basava la sua affidabilità, più che sulla tempra dei leader che si alternavano alla guida, sullo stato di diritto e il libretto di istruzioni.
A guardarlo oggi dall’alto, l’«autosalone» mondiale presenta modelli che paiono capovolti. Russia e Cina sfoggiano una carrozzeria solida anche quando minacciosa. Tutti hanno capito ormai com’è «fatto» Putin: un capo autoritario che ha visto crescere i suoi picchi di popolarità interna in coincidenza con le guerre innescate (dall’ucraina alla Siria). La Cina offre al mondo il ritratto di un sistema saldo e per certi aspetti «moderato». Anche l’apertura improvvisa di Washington al dialogo con la Corea del Nord viene considerata come un altro segno di leadership «imprevedibile», a zigzag.
Da una parte autocrati posati, dall’altra l’incerto Occidente del «chi lo sa». Imprevisti e probabilità. Parlando ai fan durante il comizio in Pennsylvania, Donald Trump ha spiegato così la decisione di incontrare «il diavolo» Kim Jong-un: «Hei, who knows?». Più che un’apertura ponderata, suona come l’azzardo di uno sceriffo che arringa i suoi prima di entrare nel saloon dei cattivi. Forse lo slogan dell’epoca nostra. «E chi lo sa?».