L’ultima magia di Astori Un minuto di 60 secondi e un silenzio silenzioso
Perché un minuto durasse davvero sessanta secondi e non un millesimo in meno, perché il Grande Silenzio abbracciasse il Franchi come un plaid caldo in un’uggiosa domenica di marzo, perché una riserva con il refuso nel nome da scrittore (Vitor Hugo) lasciasse la sua firma su un match che meriterebbe lo scudetto nel campionato della cabala (gol partita segnato alle 13 dalla maglia numero 31, eccetera), bisognava che Davide Astori partisse palla al piede per altre praterie, senza voltarsi indietro. Colpito allo stomaco da un cazzotto a freddo, senza avere il tempo di organizzarsi per mantenere sul viso la maschera bistrata da sport eletto, da una settimana il calcio orfano di un figlio mostra il suo lato più vero e umano. Una generazione di ragazzoni viziati tornata bambina. Il lungo addio ad Astori ha voltato la pagina di Fiorentina-benevento, la prima senza il capitano, ancorandosi alle uniche certezze di un periodo storico emotivamente terremotato. Un minuto lungo 60’’ e un silenzio normalmente silenzioso.