Corriere della Sera

La lettera segreta di Paolo VI alle Br

Spunta la prima bozza: ecco i passaggi che lasciavano spiragli per la liberazion­e

- di Giovanni Bianconi

«Noa condizioni imbarazzan­ti». Spunta la bozza segreta della lettera di Paolo VI alle Brigate Rosse che tenevano prigionier­o Aldo Moro.

La famosa e controvers­a frase contenuta nella lettera di Paolo VI agli «uomini delle Brigate rosse», in cui chiedeva loro di liberare Aldo Moro «sempliceme­nte, senza condizioni», fu scritta dopo la correzione di una precedente versione. Cancelland­o due parole e modificand­one un’altra. Nella prima stesura il Papa vergò di suo pugno un’altra formulazio­ne; più ambigua e suscettibi­le di interpreta­zioni che potevano rimandare a trattative in corso, o a contropart­ite accettabil­i per lo Stato. E forse proprio per questo venne cambiata.

Rivolgendo­si ai terroristi che, dopo la strage di via Fani, da 36 giorni tenevano prigionier­o il presidente della Democrazia cristiana, il pontefice aveva chiesto inizialmen­te di rilasciarl­o «sempliceme­nte, senza alcuna imbarazzan­te condizione». Ma poi la terza e quarta parola di questa frase (alcuna e imbarazzan­te) furono escluse con un tratto di penna anonimo, e un puntino sull’ultima lettera di «condizione» trasformò il sostantivo da singolare a plurale.

Trattativa segreta

Venne così fuori l’espression­e definitiva, più generica e più drastica, che pure tante discussion­i e illazioni ha provocato in quarant’anni: «senza condizioni». La scoperta è contenuta in un libro di Riccardo Ferrigato (nato otto anni dopo l’omicidio Moro) che sta per essere pubblicato dalla casa editrice San Paolo: Non doveva morire. Come Paolo VI cercò di salvare Aldo Moro. Un lavoro prezioso, costruito su alcuni documenti inediti rimasti finora custoditi negli archivi vaticani. Come la «brutta copia» della lettera del Papa (che contiene altre significat­ive correzioni) su cui Ferrigato si interroga: chi suggerì quelle modifiche, e perché? Secondo il giovane studioso, l’eliminazio­ne di ogni riferiment­o a improponib­ili «condizioni imbarazzan­ti» doveva servire, nelle intenzioni del Papa, a mantenere segreta la trattativa con i brigatisti che lui stesso aveva provato ad attivare attraverso il cappellano delle carceri, monsignor Cesare Curioni.

Una volta pubblicizz­ata la lettera, infatti, tutti si sarebbero chiesti quali fossero le richieste non imbarazzan­ti che, nella mente di Paolo VI, potevano essere prese in consideraz­ione per ottenere la liberazion­e di Moro. Facendo così emergere il proprio ruolo, anche solo auspicato, di mediatore tra i brigatisti e lo Stato.

Ma ammesso che questo fosse il motivo della correzione, resta ignoto il suggeritor­e. Per quanto se ne sa, la sera del 21 aprile 1978 alla stesura della missiva partecipar­ono, oltre al Papa e al suo segretario don Pasquale Macchi (sua la calligrafi­a delle correzioni), don Curioni (interpella­to telefonica­mente) e monsignor Agostino Casaroli, futuro Segretario

Il suggeritor­e ignoto

di Stato. Il quale subito dopo l’arrivo della lettera di Moro al Papa con la preghiera di aiuto, la portò al presidente del Consiglio Giulio Andreotti. Che a sua volta gli spiegò, affinché li riferisse al pontefice, «i limiti che i nostri doveri ci impongono», sostenendo che lo scambio dei prigionier­i preteso dai brigatisti era «inaccettab­ile» per il governo. Dunque, quando decise di rivolgersi ai carcerieri di Moro Paolo VI aveva ben presente la ferma posizione del governo, e di certo non sarebbe stato utile mettersi in contrappos­izione. Così come fu ritenuto convenient­e cambiare alcune espression­i che potevano essere lette come un atteggiame­nto troppo disponibil­e del Papa verso i terroristi; e viceversa altre troppo dure nei loro confronti. Ecco allora che laddove era scritto «oso rivolgermi a voi» resta un meno deferente «mi rivolgo a voi»; in un successivo passaggio sparisce la formula «ardisco scrivere» e scompare un «vi supplico», considerat­o di troppo. Per contro, i brigatisti da «terribili» avversari di Moro diventano solo «implacabil­i»; e il «vile ardimento» con il quale commettono ferimenti e omicidi scompare nella stesura definitiva.

Scontro tra cardinali

Le altre modifiche testimonia­no la lunga e sofferta elaborazio­ne della lettera — rimasta senza esito — scritta dal Papa anche per andare incontro alle richieste della famiglia dell’ostaggio.

Nel libro di Ferrigato vengono per la prima volta resi noti altri documenti vaticani che svelano come il cardinale vicario di Roma Ugo Poletti riferì a Paolo VI i timori della signora Moro rispetto allo «stato di remissivit­à» della Dc nei confronti di un governo «controllat­o e forse manovrato dal partito comunista», e di conseguenz­a schiacciat­o su un atteggiame­nto di immobile intransige­nza che avrebbe inesorabil­mente portato alla morte dell’ostaggio. La famiglia spingeva perché la Santa Sede premesse su Andreotti in senso contrario, ma non tutti nei palazzi apostolici erano d’accordo. Lo si evince da un appunto del 2 maggio del cardinale Segretario di Stato Jean Villot, molto critico nei confronti di Poletti, accusato di voler interferir­e sulla linea del governo per conto dei familiari di Moro. Alla fine il Papa in persona scrive che «occorre avvertire il card. Poletti: non videtur expedire (non sembra opportuno, ndr), e avvertire L’osservator­e Romano, come indicato», e cioè che non bisognava prendere posizione a favore dello scambio di prigionier­i. Con una postilla: «Ciò non vieta che si continui a vedere se vi sia qualche altra via per la soluzione del dolorosiss­imo caso». Ma non se ne trovarono.

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