Bici, piante e mostre La festa nel segno dei quattro elementi
Nel grande parco termale, svago e golosità Rossini: «Rivivono le tradizioni culturali»
D’inverno, sulle Dolomiti a sciare. D’estate, al fresco delle vallate verdissime e al riparo da temperature impossibili. Eccolo il quadro del Trentino. Benissimo. Ma le altre stagioni: sono uscite dalla cornice? La Primavera, per esempio, che se la riprendessimo in time-lapse, sarebbe uno spettacolo nello spettacolo, dov’è finita?
È sempre in Trentino, perché qui, dal 21 al 25 aprile prossimi, in occasione di Ortinparco, faremo tutti finta di essere dei Segantini (il celebre pittore divisionista nato da queste parti), pronti a cogliere l’attimo nello storico Parco delle terme di Levico, location della quindicesima edizione della manifestazione. Siamo in Valsugana, a una ventina di chilometri dalla Torre dell’aquila del Castello del Buonconsiglio, a Trento, dove è custodita, da più di seicento anni, l’idea originaria di Ortinparco.
Nel ciclo dei mesi dipinto probabilmente da Wenceslao di Boemia, è raccontato, infatti, tutto ciò che avviene nei campi ad aprile. Una cronaca fedele del risveglio della Natura, compresi gli orti. Non a caso si parla di «Calendario delle fioriture».
E ieri come oggi, al di là di Venceslao, la gente scendeva e continua a scendere dalle vallate, o dalle città, per comperare attrezzi, sementi e tutto l’occorrente per un orto perfetto. «Nel parco di Levico sono esposte le diverse tradizioni culturali di questo periodo: e non è una fatalità che si svolga proprio qui, in Valsugana, Ortinparco: tra Levico e Caldonazzo, meleti, ciliegi e viti regalano in anticipo lo spettacolo della fioritura», ricorda Maurizio Rossini, responsabile di Trentino Marketing.
Poi toccherà alle margherite, ai ranuncoli e alle orchidee selvatiche fiorire, nelle zone più in quota. Fino ai rododendri, alle negritelle e alle genziane, protagonisti delle fioriture al di sopra dei 1.500 metri.
Il tema scelto quest’anno per Ortinparco è rappresentato dai quattro elementi: acqua, aria terra e fuoco. Che, in fondo, sono ciò che mangiamo. «La pianta cattura la terra con le radici, riempie l’aria con il profumo dei fiori, trattiene il calore attraverso i frutti e i semi, e concentra l’acqua nelle foglie», ricordano quelli di H20+, organizzatori di uno dei tanti eventi all’interno dello storico Parco di Levico (creato agli inizi del secolo scorso e meta della nobiltà austroungarica), con i suoi 12 ettari il più grande del Trentino e dove sono presenti ben 76 specie autoctone di alberi.
Nel parco, c’è tantissimo spazio, anche per i bimbi. E non solo nel senso fisico del termine. «La contadina Margherita», per esempio, è un laboratorio per piccini, nel quale si potrà imparare a costruire, con paglia e materiali di recupero, uno spaventapasseri.
Di sicuro, le cose curiose, tra erbe e fiori, non mancano. Solo lo sguardo attento di un botanico potrebbe riconoscere l’erisìmo, detta anche l’erba dei cantanti per le sue straordinarie proprietà sulla voce: secondo Angela Bassoli, autrice del seminario «Ecco perché andremo tutti alla ricerca dell’erisìmo», è la pianta spontanea del futuro.
L’orto, poi, è come l’amicizia: bisogna sempre saper riconoscere l’erba buona da quella cattiva. Soprattutto a tavola. Nei territori della Valsugana e di Lagorai, esiste una Condotta di Slow Food, una delle 1.500 sedi sparse in tutta Italia, organizzatrice, insieme a Stefano Mayr, di una «Escursione botanica alla ricerca delle erbe di campo spontanee, selvatiche e commestibili». Per un massimo di dieci partecipanti.
Intanto, non spaventatevi se siete ad Ortinparco e avrete l’impressione che le piante stiano «camminando». Come in un film di Peter Sellers: più Hollywood Party che Oltre il giardino. Siete solo circondati dai «Giardini colorati in movimento», ispirati ai quattro elementi naturali e progettati dal Servizio per il sostegno occupazionale e la valorizzazione ambientale della Provincia autonoma di Trento, gli organizzatori di Ortinparco, aiutati nella performance green dagli studenti del master «Paesaggio giardino» dell’università Iuav di Venezia. Fine?
Ma quando mai. Finché c’è verde, l’hortus, si sa, non è mai «conclusus».