Corriere della Sera

IMPRESE FAMILIARI MOTORE D’ITALIA

Rispetto a Francia, Germania e Spagna le nostre aziende sono presenti in più settori. Ma solo tre dinastie superano i 10 miliardi di ricavi. Ora le cose stanno cambiando. Se ne parla al festival «Family Business» al via oggi a Bologna

- Guido Corbetta Maria Silvia Sacchi

L’d

L’anno prossimo novità in vista grazie a Ferrero e Luxottica

italiano John Elkann, lo spagnolo Florentino Pérez Rodríguez, il francese Vianney Mulliez e il tedesco (nato in Austria) Ferdinand Oliver Porsche. Sono nelle loro mani i più importanti gruppi familiari dei quattro principali Paesi europei. La classifica delle maggiori dinastie che pubblichia­mo in questa pagina racconta molto. Per prima cosa ci dice che siamo un Paese creativo. Forse un po’ (troppo) individual­ista, forse un po’ (troppo) dispersivo; ma da qualunque parte la si consideri, l’italia emerge sempre con questa sua capacità di rinnovarsi continuame­nte. È la sua fortuna e il suo limite: ha sempre una via di fuga, ma la dispersion­e rende più faticoso creare aziende grandi.

Confrontan­do le prime 10 famiglie di Italia, Francia, Germania e Spagna si vede che le italiane sono presenti in molti settori. Le troviamo nella moda e nel lusso, nella distribuzi­one, nella television­e, nell’alimentare, nel petrolifer­o, nell’auto, nelle costruzion­i…

Se volessimo paragonarl­o al portafogli­o di un investitor­e finanziari­o potremmo dire che è ben bilanciato: se un settore va male ce n’è un altro che aiuta a «parare il colpo». Situazione molto diversa negli altri Paesi esaminati, che mostrano di avere, invece, vocazioni specifiche. In Germania l’auto e il chimico-farmaceuti­co, in Francia la distribuzi­one e il lusso, il Spagna le costruzion­i e la distribuzi­one.

L’altro lato della medaglia è, appunto, la dimensione. In Italia solo 3 grandi dinastie superano i 10 miliardi di ricavi, in Spagna 5 su 10, mentre in Francia e Germania tutte e 10 oltrepassa­no la soglia. Come media, il nostro Paese si colloca terzo su quattro, grazie a Exor che con 140 miliardi di ricavi è l’unica impresa familiare italiana nella classifica Fortune 500. Ma le famiglie Porsche e Piech, che controllan­o il gruppo Volkskwage­n, con 240 miliardi di euro di ricavi realizzano in un anno più di quanto facciano nello tempo tutte e dieci le prime dinastie made in Italy.

Le mosse recenti di alcune società italiane mostrano, però, che qualcosa sta cambiando. È il caso di Ferrero che con Giovanni Ferrero ha avviato nell’ultimo anno una campagna di acquisizio­ni all’estero, ribaltando il modello tenuto finora dell’azienda della Nutella. In poche mosse Ferrero diventata il terzo produttore di cioccolato degli Stati Uniti, il più grande mercato dolciario al mondo, e le previsioni sono che oltrepassi quest’anno i 14 miliardi di euro.

È il caso anche della decisione di Leonardo Del Vecchio di fondere la sua Luxottica (produzione occhiali) con la francese Essilor (produzione lenti): disposto a perdere la maggioranz­a assoluta del capitale (ma restandone l’azionista di riferiment­o) in favore della creazione di un gruppo più integrato e grande. «Come stanno facendo le corporatio­n di tutto il mondo», ha detto l’imprendito­re. A muoversi sono in particolar­e le società che hanno come mercato di riferiment­o il mondo, più sottoposte cioè alla competizio­ne.

Le imprese familiari sono un motore del nostro Paese ma, come mostra l’indagine curata da Fabio Quarato dell’università Bocconi (sono escluse banche e assicurazi­oni), non sono caratteris­tica solo italiana.

A questa tipologia di impresa è dedicato Family Business, il festival che si apre oggi a Bologna e si concluderà domani sera (sotto il programma della giornata). Non per celebrarle ma per sapere come funzionano, perché solo così è possibile impostare una vera politica industrial­e.

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