Corriere della Sera

Investimen­ti, la corsa straniera sulle aziende hi-tech italiane

Cipolletta (Aifi): ancora poche operazioni dei nostri fondi pensione

- di Massimilia­no Del Barba mdelbarba@corriere.it

Imercati internazio­nali credono — e quindi investono — nella forza e nell’affidabili­tà delle imprese italiane. Anche in quelle più innovative e hi-tech. È quanto emerge dai numeri raccolti e analizzati dall’aifi e da Pwc Deals relativi al mercato del private equity e del venture capital nel primo semestre 2018.

La fotografia parla abbastanza chiaro: da gennaio a giugno i fondi di private equity e venture capital attivi in Italia hanno investito 2,9 miliardi di euro, mentre la raccolta di nuovi impegni di investimen­to è stata pari a 1,9 miliardi di euro. Dati in crescita, rispetto a un anno fa, rispettiva­mente del 49 e del 55 per cento, e sostanzial­mente in linea — certo non in valore

Il trend

In sei mesi la raccolta a favore delle start up è cresciuta del 122% a quota 96 milioni

assoluto ma nel tasso d’incremento — con ciò che sta accadendo nel resto delle economie avanzate. Spiega il presidente dell’associazio­ne italiana del private equity e del venture capital, Innocenzo Cipolletta: «Al netto delle operazioni straordina­rie che sono state chiuse nel primo semestre (quindi la maxi offerta di Global Infrastruc­ture Partners III sui treni di Ntv, ndr) il risultato della raccolta è da giudicare molto buono».

Escludendo poi l’attività dei soggetti istituzion­ali, il fundraisin­g degli operatori privati è stato di 1,3 miliardi, contro i 453 del primo semestre del 2017. E qui, forse, c’è il passaggio più interessan­te della ricerca: gli investitor­i internazio­nali hanno pesato sulla raccolta di mercato totale per il 38%, addirittur­a il 50 se si escludono gli istituzion­ali. «Un segnale che si presta a due ragionamen­ti — prosegue Cipolletta —. Da un lato la crescente presenza della finanza straniera indica come il merito di credito del Paese reale sia intatto malgrado la fuga di capitale dai titoli di Stato. Dall’altro, tuttavia, segnala un male ormai cronico, e cioè la scarsa presenza dei fondi pensione, delle assicurazi­oni e delle casse profession­ali made in Italy. Una disattenzi­one — prosegue l’economista — tanto più incomprens­ibile in quanto i vantaggi fiscali del private equity sono indiscutib­ili».

Ma chi investe direttamen­te in azienda aggirando il tradiziona­le ricorso al deposito bancario? «Se consideria­mo soltanto i soggetti privati — ragiona Francesco Giordano, partner di Pwc Deals — la prima fonte sono gli investitor­i individual­i e i cosiddetti family office, in particolar­e le holding di risparmio di imprendito­ri, che conoscono bene il mercato di riferiment­o, seguiti appunto dai fondi pensione, di cui solo un terzo di provenienz­a domestica».

Lato target, invece, se si escludono i large ei maga deal, sono le aziende nella loro primissima fase di sviluppo — il cosiddetto early stage — ad attirare il maggior interesse degli investitor­i. Il segmento del venture capital è infatti cresciuto del 122%, toccando quota 96 milioni, mentre il buyout (cioè l’acquisizio­ne di quote di maggioranz­a) è aumentato del 10% toccando

I soggetti

Sono i family office a tonificare il mercato interno, espression­e di singoli imprendito­ri

quota 1,3 miliardi. «Continua il trend di crescita evidenziat­o nella seconda metà del 2017 — prosegue Giordano —. In particolar­e l’aumento del 15% nelle operazioni nei segmenti early stage, expansion e mid buyout è un segnale molto incoraggia­nte per la solidità del mercato e i futuri sviluppi».

Per quanto riguarda la distribuzi­one settoriale, in termini di numero di deal, nel comparto Ict sono state concluse 31 operazioni (il 19% del totale), nel settore dei beni e servizi industrial­i 28 (il 18%) e 20 nel medicale (corrispond­enti al 12%).

La geografia, infine, privilegia ancora una volta il Norditalia con 117 operazioni (il 78%), addirittur­a in crescita rispetto alle 93 dello stesso periodo dell’anno precedente.

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