Quattro anni a Magnini
L’ex campione del nuoto condannato (con Santucci) in primo grado nel processo sportivo
ROMA Non ha spinto nessuno a doparsi, non ha spacciato farmaci proibiti, non si è dopato. Ma ha tentato di farlo. È per «tentato doping» che ieri pomeriggio alle 14.30 il Tribunale Nazionale Antidoping, presieduto da Adele Rando, ha squalificato per 4 anni l’ex stella del nuoto Filippo Magnini. Stessa pena per l’ex collega Michele Santucci. Il procuratore nazionale Pierfilippo Laviani aveva chiesto 8 anni per Magnini ritenendolo anche colpevole di procacciamento e cessione di farmaci a Santucci. Il Tna gli ha dato torto. Ma la squalifica del marchigiano (ritiratosi dall’agonismo un anno fa) resta pesantissima.
La vicenda nasce dalle carte ROMA La rampa 28 della curva sud dello Stadio Olimpico ne ha viste tante di fughe alla chetichella dalle stanze disadorne del Tribunale Nazionale Antidoping: dall’uscita di servizio, attraverso il dedalo di sotterranei del campo, dentro macchine dai vetri scuri, a occhi bassi e con un corteo di avvocati a far da scudo. Non è il caso di Filippo Magnini. Il pluricampione del mondo di nuoto lascia l’aula dopo 5 minuti di udienza e con 4 anni di squalifica sul groppone ma ha voglia di parlare, quasi di urlare. Niente avvocati a fare da filtro, la fidanzata Giorgia Palmas a guardarlo a distanza, presenza muta al fianco del compagno di sventura Michele Santucci.
«Ci hanno sbattuto sulle prime pagine dei giornali come dopati e dopatori — attacca Filo — e adesso ci danno 4 anni perché forse, secondo loro, avremmo tentato di doparci. Con sostanze che nessuno ci ha mai indicato, con prove che non esistono, dopo interrogatori a dir poco inquietanti di cui un giorno forse rivelerò i particolari».
Il nemico di Magnini ha un nome e un cognome. È l’ex pubblico ministero romano Pierfilippo Laviani che il Coni ha designato lo scorso anno come pubblica accusa dell’agenzia antidoping italiana. di un’inchiesta penale della Procura della Repubblica di Pesaro che coinvolge l’ex dietologo e mentore di Magnini, Guido Porcellini, e in cui il procuratore penale, nel rinviare a giudizio il medico, ha escluso ogni responsabilità dell’atleta. Il processo sportivo si è basato su intercettazioni telefoniche e pedinamenti dei due e su una confezione di fiale di ormone della crescita (GH) ordinate via Internet in Cina dal medico. Sequestrate dalla polizia doganale a Milano, le fiale in realtà non contenevano l’ormone proibito: Porcellini era stato truffato dal venditore. Ma analizzando le carte, il magistrato sportivo ha ravvisato comunque nel comportamento di Magnini e Santucci il «tentato uso di sostanze dopanti» che il Codice antidoping (art. 2.2) punisce con la stessa severità dell’utilizzo Rabbia
Filippo Magnini, classe 1982, squalificato per 4 anni dal Tribunale nazionale antidoping (Ap) effettivo. E ha comminato la pena massima.
La sentenza è indubbiamente estrema: mai in assenza di prove certe (esami antidoping positivi, riscontri di perquisizioni al domicilio dell’indagato) il magistrato aveva raggiunto quel 51% di convincimento di colpevolezza che, nell’ordinamento sportivo, basta a condannare l’atleta. Magnini ha annunciato appello: la procedura prevede un secondo grado in altra sezione del Tribunale Antidoping (che di rado smentisce la prima) e un terzo al Tas di Losanna. La Procura, da parte sua, potrebbe chiedere un inasprimento della pena.
d Nelle carte non c’è una telefonata, una consegna, un pacco a mio nome: non c’è niente d Ho anche pensato volessero colpire qualcuno più in alto. Chi? Non ve lo posso dire