Alessio, la morte a Parigi e i dubbi del nonno: «Non può essersi ucciso Voleva fare l’astronauta»
VENTIMIGLIA (IMPERIA) Sulle pareti sono appesi i quadretti di Alessio: la borsa di studio vinta al liceo, il certificato inglese del Trinity College London, l’attestato francese del Centre International d’études pédagogiques. E poi le foto, ovunque: Alessio in braccio alla madre, Alessio con la nonna, alla cresima, al mare...
Tutto parla di lui in questa modesta ma dignitosa casa del nonno materno, Vincenzo, dove ha sempre abitato anche il brillante studente di Ventimiglia tragicamente scomparso a Parigi. Nonno e nipote, 69 e 18 anni, operaio in pensione e matricola universitaria. Un rapporto speciale il loro, cementato dalle disgrazie comuni e interrotto bruscamente quella mattina d’inverno. Era l’alba del 18 gennaio quando il corpo senza vita di Alessio Vinci veniva trovato sotto una gru alta una cinquantina di metri, all’interno di un cantiere di Porte Maillot.
«Suicidio», è l’ipotesi della magistratura parigina, compatibile con i risultati dell’autopsia che trapelano solo oggi: lesioni da precipitazione. «Mi sembra molto strano, non era depresso, non era infelice, anzi, aveva preso la patente una settimana prima e non vedeva l’ora di scorrazzare con la mia macchina», scuote la testa il nonno indicando le foto di un ragazzo dal sorriso cortese. Era un genietto della matematica, Alessio. Da qualche mese frequentava la facoltà di Ingegneria aerospaziale a Torino, dopo aver terminato il liceo con il massimo dei voti, 100 centesimi, facendo pure il quarto e quinto anno insieme. «Studiava ma aveva anche una vita fuori, fidanzate, amici. Con me era tanto caro. Ci sentivamo tre quattro volte al giorno. Mi aveva chiamato anche la sera prima di morire. “Nonno, con chi vai a Imperia per la visita? Non da solo, mi raccomando”. “Vado pian pianino Alessio, non preoccuparti”. Mi aveva chiesto se conoscevo qualcuno a Parigi, se sapevo qualcosa dell’hotel Le Méridien. Non era mai stato a Parigi. Ma io non avevo capito che era lì, non me l’aveva detto».
Perché Parigi, dunque? Gli inquirenti francesi hanno ricostruito l’ultima giornata di Vinci. Sarebbe arrivato da solo con il treno da Torino il giorno 17, avrebbe preso una stanza all’hotel Le Méridien chiedendo un piano alto. Dalla stanza ha chiamato la reception per sbloccare la finestra dicendo di voler fumare ma non era possibile. È sceso quindi un paio di volte con le sigarette, fino a che l’hanno visto uscire di notte senza rientrare. Sempre da solo.
L’ultimo segnale di vita, lo studente l’ha dato alle 4.16 del mattino della tragedia. Ha inviato un messaggino a un’amica di famiglia, Simona: «I nonni sono stati i migliori genitori che avessi potuto avere». Contattiamo Simona. «Sì, è vero, mi ha scritto proprio così. Ha solo scritto però, non ci siamo sentiti». Il particolare dell’orario, 4.16, e quello della gru hanno indotto qualcuno a pensare a Blue Whale, il gioco dell’orrore che gira in Rete con il suo folle rituale del suicidio. Fra le regole di chi intende partecipare ci sono anche quelle: «Svegliatevi alle 4.20 del mattino...». «Salite su una gru o almeno tentate di farlo...». «Saltate da un edificio alto, prendetevi la vostra vita». Brividi. «Non posso credere che Alessio si sia fatto coinvolgere». Per suo nonno il ragazzo era forte, temprato dalle difficoltà della vita. «A sei anni senza genitori...». Lui non crede all’istigazione al suicidio. «Penso che gli sia capitato qualcosa di molto brutto, ma non quello».
In questi giorni sono circolate altre ipotesi. Come quella legata a una somma di denaro depositata dal ragazzo in una banca di Monaco, dopo una grossa vincita al casinò: «Qualcuno ha detto 170 mila euro, adesso sono scesi a 100 mila. A me non risulta proprio. Qualche volta è andato al casinò, ma giocava sciocchezze. Noi abbiamo un bancoposta insieme che ci serve per le spese dell’università. Pochi soldi». La polizia ha trovato il portafoglio con la patente della moto, quella della macchina e 200 euro. «Mancava solo la carta d’identità».
Trovati anche il telefonino e un computer portatile. Lì dentro potrebbero esserci delle risposte. «Li hanno dati a mio fratello che sta in Francia ma non riesce ad aprirli perché non ha il pin». Nonno Vincenzo si alza e pian pianino ci porta nella cameretta del nipote. Ecco le cose di Alessio: il lettino, il sacco da boxe, i libri. Sono ordinati ma li sistema lo stesso, con delicatezza. La vita è stata dura con lui: ha perso la figlia tanti anni fa, poi la moglie e adesso anche l’amato nipote. «Sognava di fare l’astronauta, di volare. Mi manca tanto».