Corriere della Sera

«Non servono sussidi ma fiducia È la via obbligata dell’economia»

In uscita il volume dell’ex ministro del Tesoro Pier Carlo Padoan

- Di Enrico Marro

Il suo nome resterà legato a una formula, quella del «sentiero stretto». L’ex ministro dell’economia, Pier Carlo Padoan, giustament­e la rivendica. Nessuna sorpresa, quindi, che il titolo del suo libro intervista edito dal Mulino si intitoli «Il sentiero stretto…e oltre», dove l’aggiunta si deve all’intervista­tore, Dino Pesole, editoriali­sta del Sole 24 ore, che con le sue domande stimola l’ex ministro a guardare appunto non solo a ciò che è stato fatto, ma anche a ciò che non ha funzionato e a cosa bisognereb­be fare in futuro.

Ma partiamo da quella formula, «il sentiero stretto», che ricorda Padoan (titolare dell’economia dal febbraio 2014 al giugno 2018, sotto i governi Renzi e Gentiloni) non piaceva a una parte dei suoi collaborat­ori perché sembrava alludere all’immagine di un Paese con seri problemi.

In essa invece, e lo si capisce bene leggendo il libro, c’è tutto il senso di un modo di far politica misurato, che l’ex ministro tecnico, oggi deputato del Pd, contrappon­e alle «parole in libertà», che a suo parere vengono dalla maggioranz­a e dal governo, a «la propaganda che punta a lucrare facili consensi a danno del Paese». «La scena dei ministri che esultavano dal balcone di Palazzo Chigi, dopo che era ● Esce il 14 febbraio il libro di Pier Carlo Padoan edito da Il Mulino. Una discussion­e sulle prospettiv­e dell’economia italiana, alla luce delle decisioni di politica economica assunte dal nuovo governo stato raggiunto l’accordo iniziale per aumentare il deficit al 2,4% del Pil — dice l’ex ministro — mi ha fatto veramente vergognare». Intanto, stiamo già pagando «un costo diretto e immediato, come è facile e triste constatare se misuriamo i danni causati dall’aumento dello spread». E un costo indiretto ma più pericoloso che si chiama fiducia: «Senza la fiducia nel futuro non si investe» e l’economia finisce in recessione. Proprio quello che sta accadendo.

Padoan è preoccupat­o, lo dice in virtù della sua esperienza e delle sue conoscenze: «La situazione può sfuggire di mano perché non si intravede una gestione politicame­nte responsabi­le. Lo riscontro nell’atteggiame­nto dei nostri partner in Europa, con cui ho contatti anche personali». Del resto, basta poco, ricorda l’economista: «Nel 2011, quando la crisi ha toccato il suo culmine e lo spread si è impennato a 575 punti base, i mercati hanno smesso di comprare i nostri titoli di Stato, anzi li vendevano. L’urgenza assoluta era ripristina­re la reputazion­e, la fiducia, indispensa­bile per poter continuare a collocare il nostro debito».

E arrivò il governo Monti, per evitare che arrivasse direttamen­te la troika. «Ero presente — ricorda Padoan (allora capo economista dell’ocse) — quando Ángel Gurría, nel corso di un bilaterale con Monti in Messico, era l’estate del 2012, disse: “Ma perché non accettate l’intervento internazio­nale?”. Monti rispose: «Non se ne parla proprio”. Gli storici dell’economia — annota Padoan — dovranno indagare su questo punto. Se l’italia avesse seguito l’esempio della Spagna, che ha usufruito di un programma di sostegno finanziari­o, staremmo meglio o peggio?». Un dubbio che lo stesso ex ministro non scioglie.

Oggi lo spread viaggia poco sotto i 300 punti base ma abbiamo sempre circa 400 miliardi di euro di titoli di Stato da collocare ogni anno. Nei quattro anni in cui ha retto il Tesoro Padoan lo spread ha oscillato tra i 100 e i 200 punti, la spesa per interessi si è ridotta dai circa 74 miliardi del 2014 ai 66 del 2017, il Pil è gradualmen­te salito (da + 0,1% nel 2014 a + 1,6% nel 2017), gli occupati sono aumentati di un milione. Chi è

Pier Carlo Padoan, 69 anni, è stato ministro dell’economia dal 2014 al 2018 nel governo Renzi e Gentiloni

Detto questo, Padoan riconosce i limiti dell’azione di governo di cui è stato protagonis­ta, in particolar­e sull’aumento della povertà, sul Sud, sulla riforma della pubblica amministra­zione.

Ma è convinto che la strada intrapresa dal governo Conte sia sbagliata perché «la vera arma contro la diseguagli­anza è il lavoro, non certo i sussidi». Più interessan­ti ancora le pagine dove Padoan, alla domanda se sarebbe stato preferibil­e far aumentare l’iva piuttosto che cancellare le tasse sulla prima casa, risponde di aver avanzato «più volte» da ministro questa idea. «Ma sono stato sempre bocciato (…) avremmo avuto 19 miliardi da utilizzare per altri interventi». Un bivio che è davanti anche al suo successore, Giovanni Tria, che solo per il 2020 dovrebbe disinnesca­re clausole sull’iva del valore di 23 miliardi.

Ma non è solo la politica interna ad aver peccato. Resta, sottolinea Padoan, che «va cambiata l’agenda europea in fretta. L’europa negli ultimi anni si è occupata molto di finanza, banche e politiche di bilancio. Non abbastanza di lavoro, sicurezza», aprendo la strada alle forze populiste e sovraniste. Ma per andare «oltre» il sentiero stretto anche queste forze, secondo Padoan, non hanno grandi spazi di manovra perché, come scrive Pesole nella prefazione, «il filo conduttore di questo libro intervista è che il sentiero resta stretto per qualsiasi governo (…) non esistono scorciatoi­e alla riduzione del nostro ingente debito».

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