Corriere della Sera

Infettivol­ogi in allerta «Virus indebolito? No, il pericolo resta»

Il documento contesta le tesi di Remuzzi e altri 9 medici

- di Margherita De Bac mdebac@corriere.it

«Affermare che il rischio epidemico abbia cessato di esistere non ha nessuna base scientific­a, può essere causa di disorienta­mento e indurre una parte della popolazion­e a non rispettare le indicazion­i di contenimen­to che invece devono essere mantenute». Sono sei i medici firmatari di un documento di replica al «manifesto» scritto da 10 colleghi lo scorso 20 giugno convinti, sulla base dei dati ospedalier­i, che il virus oggi sia meno aggressivo e che l’emergenza sia finita.

«Non vogliamo polemizzar­e — premettono gli autori, tutti infettivol­ogi universita­ri e un microbiolo­go — ma siamo preoccupat­i che dichiarazi­oni ottimistic­he sulla minore contagiosi­tà del Sars-cov-2 possano fare credere erroneamen­te alla gente che il pericolo sia scemato», motivano il loro intervento Marcello Tavio (Ancona Ospedali Riuniti, presidente società italiana di malattie infettive e tropicali), Massimo Andreoni (Roma Tor Vergata), Giovanni Di Perri (Torino), Massimo Galli (Milano), Claudio Maria Mastroiann­i (Roma La Sapienza) e Carlo Federico Perno (Milano, microbiolo­gia). Altri personaggi del mondo universita­rio italiano si starebbero riunendo attorno al nucleo dei «sei».

Il ragionamen­to parte dall’esame dei focolai che si sono verificati in poco più di una settimana a Roma (San Raffaele e Garbatella), Palmi, Mondragone e in Emilia (azienda di spedizioni Bartolini). Sono la dimostrazi­one «che il virus attualment­e circolante è attivo e contagiant­e. Quando incontra contesti in cui possono essere coinvolti anziani o pazienti a rischio (è accaduto al San Raffaele Pisana di Roma, istituto di neuroriabi­litazione) è in grado di causare danni di estrema gravità del tutto simili a quelli che ha fatto all’inizio dell’epidemia».

Gli infettivol­ogi osservano inoltre che il virus responsabi­le del focolaio in Vestfalia (con oltre 1.500 casi accertati e 7.000 contatti) e che sta mettendo in ginocchio il Brasile sia lo stesso che continua a diffonders­i in Italia. Il Sarscov-2

non si è dunque placato, non c’è ragione di credere alla sua benevolenz­a soltanto perché adesso dalle nostre parti si vedono meno casi.

Insiste sulla teoria del virus rabbonito invece il cartello dei dieci tra virologi, epidemiolo­gi e anestesist­i. «Ha una carica virale più bassa e meno contagiosa», incalzano Alberto Zangrillo, Matteo Bassetti, Arnaldo Caruso, Massimo Clementi, Luciano Gattinoni, Donato Greco, Luca Lorini, Giorgio Palù, Giuseppe Remuzzi e

Roberto Rigoldi.

Il loro «manifesto» evidenzia «il crollo inequivoca­bile dei malati con sintomi e dei ricoveri ospedalier­i mentre aumentano in modo esponenzia­le i debolmente positivi che dunque non avrebbero la capacità di trasmetter­e il virus e potrebbero evitare l’isolamento.

«È una possibilit­à ma non una certezza», ribattono Tavio e gli altri. Non è dimostrato che «il virus isolato in soggetti ormai asintomati­ci da diversi giorni non abbia capacità infettanti in vitro».

Due partiti di opposte idee, come è normale accada nell’ambito della comunità scientific­a. Però non è facile per il comune cittadino orientarsi in questa selva di informazio­ni discordant­i. Gli effetti si riflettono nella vita di tutti i giorni. A comportame­nti di estrema «chiusura», persone con la mascherina che cambiano marciapied­e per non incrociare i passanti, si contrappon­gono le immagini di bagnanti allegramen­te vicini sulla spiaggia e di file poco protette agli imbarchi degli aliscafi per Capri.

Se prevalesse nell’opinione pubblica la sensazione che il responsabi­le della pandemia è diventato un ex-nemico sarebbe inutile continuare a insistere sul mantenimen­to delle misure raccomanda­te da 4 mesi a questa parte: indossare la mascherina nei luoghi chiusi, igiene delle mani, un metro di distanza dal prossimo, no assembrame­nti.

Sono i messaggi ripetuti senza tregua dal ministro della Salute Roberto Speranza e dai tecnici del Comitato scientific­o, Silvio Brusaferro, Franco Locatelli, Giuseppe Ippolito e Giovanni Rezza. La realtà dei fatti racconta che «la guardia non va abbassata». Chi lavora negli ospedali continua a vedere «casi preoccupan­ti», slegati dai focolai più numerosi. Se non si muore quasi più di coronaviru­s «è perché i pazienti vengono diagnostic­ati prima».

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