Il mio regno in una chiesa
Vitali, fotografo delle folle, e la sacralità nel centro di Lucca «Una casa autoportante circondata da mattoni sbrecciati Vivo tra silenzio e natura, poi vado a fare gli scatti nelle spiagge»
Le mura e la piazza ellittica di Lucca sono a poca distanza, ma di quella ex chiesa in pieno centro storico è impossibile intuire l’esistenza, tanto è nascosta dietro un tiglio, in fondo al viale chiuso bordato di agrumi. Già il piccolo sagrato arredato preannuncia quella che oggi è una casa, da cui il fotografo Massimo Vitali si sposta per realizzare i suoi famosi scatti di folle in grandi spazi aperti.
«Mi piace il suo volume ampio. La luce, bellissima malgrado le poche finestre. Il silenzio», dice lui che di questo luogo si era invaghito già quasi 25 anni fa, appena arrivato a Lucca da Milano con moglie e figlio piccolo. «Era però stato appena acquistato a una cifra spropositata con l’idea di farne un hotel. Io nel frattempo avevo trovato casa in un palazzo storico. Poi il progetto alberghiero fallì, e la chiesa ritornò sul mercato a un prezzo accessibile. E non me la lasciai più sfuggire». All’interno l’atmosfera lascia immaginare il trascorrere del tempo, sebbene il restauro sia stato ampio: mattoni sbreccati che affiorano da tracce di dipinti, finestre finte («Non abbiamo mai capito se fossero state murate o se siano dei trompe l’oeil»), scrostature come fatte ad arte. «Tutto è rimasto intatto, solo consolidato». Unico rifacimento è il pavimento, talmente disastrato da non essere recuperabile, e tutti gli impianti.
Una struttura autoportante in ferro con scala e ballatoio corre lungo tre lati e porta alle camere: «Non si potevano toccare le pareti, per cui rimane staccata eccetto che per gli ancoraggi». Da una parte c’è la stanza del figlio Otto, quasi un piccolo appartamento con tanto di living e bagno, sul lato opposto la sua, messa alla sommità di un grande cubo in legno autoportante che parte sul fondo dell’ex navata: «L’abbiamo creato per contenere le camere: sotto c’è quella di mia moglie, io invece ho preferito stare qui, nel punto più alto e aperto. Appartato e con vista sulle volte», spiega, mostrando l’ambiente arredato con una credenza, cassettone e panchetta Impero un po’ fané. Sulla parete alle spalle del letto si intravede una scritta che parte con la parola “credere”: «Eredità di una delle ultime destinazioni della chiesa, una palestra fascista. Il resto del motto - “obbedire, combattere” – è stato conservato, come tutte le tracce. Ma l’ho volutamente nascosto dietro la testata».
La parete accanto alla navata è interrotta da una grande feritoia che svela un locale: «Era un appartamentino adiacente che abbiamo annesso: avendo più finestre, ci ha concesso l’abitabilità della chiesa», spiega mostrando l’ambiente che oggi è sala tv, palestra e studio della moglie. Qui – come ovunque – arredi e oggetti vissuti: «Tutti pezzi di affezione provenienti dalle nostre precedenti sette case, di cui molti arredi di famiglia», racconta. «Io non amo acquistare, mia moglie sì, ma più gli oggetti dato che ha il gusto delle collezioni», racconta. Unica (sua) eccezione, i pezzi firmati Edra: «Ho iniziato con i divani grazie al designer Francesco Binfarè, che frequento da sempre, e tramite lui ho conosciuto la proprietaria, diventata grande amica. Quindi anche in questo caso si tratta di arredi del cuore».
Fuori, la casa prosegue con un tinello-serra, un orto e una casetta arredata con pochi mobili dal fascino scrostato: «Era uno studio dato in affitto, oggi è la zona ospiti». Ma, precisa, niente bed & breakfast: «Bastano gli amici». Isolamento: qui è stato facilissimo ma non solo per l’ubicazione. «La casa si è confermata ideale anche per questo», dice, entusiasta. «Il piacere è stato godersi l’ozio, leggere e interagire con la natura. Per esempio abbiamo scoperto che sono arrivati dei nuovi uccelli dal canto particolarissimo, mai sentiti prima. Ma abbiamo anche lottato con i merli per accaparrarci i nostri fichi, che quest’anno sono arrivati a profusione».
Poi, man mano, la ripartenza del suo lavoro sulle spiagge, raggiungibili a poca distanza: «L’osservazione delle persone è il cuore delle mie fotografie, ma questa volta è stato ancora più del solito uno studio antropologico. Ho visto comportamenti cambiati: più sicurezza nelle donne, i gruppi di giovanissimi muoversi con maggiore disinvoltura. E soprattutto la voglia comune di stare ancora più vicini». Alla fine, il ritorno è qui: «Non passa giorno che non dica a me stesso quanto sono fortunato di vivere in questo luogo». In distanziamento fisico (e mentale) dalla pazza folla dei suoi scatti.
Credere...
Fu anche una palestra fascista. Dietro il letto ho seminascosto uno dei precetti più bellicosi