Corriere dello Sport Stadio (Firenze)
Mourinho e Liedholm, due stili retorici
Ogni epoca ha il suo zibaldone, le grandi raccolte di riflessioni fatte da letterati, poeti, pittori. Si tratta di contenitori di arti varie in cui si parla soprattutto dei segreti e dei trucchi di bottega per finire, attraverso questi pensieri, ad abbracciare questioni universali. Le botteghe d’arte rinascimentali e gli appunti dei maestri davano indicazioni per i quadri e per la vita, norme tecniche e norme etiche, visioni della tela e del mondo. Da Leonardo a Vasari, poi, ben oltre, nei secoli e in altri ambiti, da Giacomo Leopardi a Paul Valery. Fra le categorie di «artigiani» che nella nostra era si aggiungono a quella di produttori di zibaldoni ci sono gli sportivi. Parlano di tecnica, delle loro prestazioni, di come affrontare le difficoltà della propria arte e i problemi di vita che dal loro mestiere derivano. Ma così facendo parlano del mondo. E sono ascoltati, perché hanno la forza evocativa che un ruolo particolare assegna loro. Parlano e sono ascoltati perché ogni sport è un gioco e ogni gioco è una forma di vita. Dentro ci sono regole: applicarle e spiegarle significa indirettamente promuovere dei valori. Il linguaggio poi è uno strumento opaco rispetto al contenuto, attraverso il linguaggio, infatti, le idee si deformano per assumere la forma della comunicazione. Così il linguaggio colora le nostre idee e il modo con il quale un allenatore come Paulo Sousa offre le sue riflessioni è figlio di una storia personale, fatta di letture, ascolti, ma anche di riferimenti involontari. Si possono anche ignorare libri e autori, ma se questi formano una generazione, un ambiente o la sensibilità di un popolo, diventano le radici di ciascun membro di una comunità.
Proviamo così ad andare alle radici di Paulo Sousa. Quando ad esempio l’allenatore invita a trovare energie e risorse nella propria condizione. «Ogni uomo ha un tesoro che aspetta proprio te per essere colto» Il riferimento è nell’“O Alquimista”. Sono infatti le parole di un altro Paulo. Coelho. Brasiliano, autore una volta assai di moda. Formativo. Anzi performativo. Ti indica cosa fare. E il portoghese Paulo Sousa non è l’Alchimista delle proprie squadre? Capace di trovare per tanti calciatori, un nuovo ruolo, una nuova collocazione, una nuova chimica che mostra l’oro che c’è in te? Quanti hanno trasformato con lui il proprio modo di giocare e di pensare il calcio? Da Bernardeschi a Borja Valero, fino a Vecino. Il calcio, poi, come la vita, presenta momenti oscuri, segnali che possono indicare problemi che magari ti sfuggono. Affrontare il turbamento. Non fuggirlo nè esorcizzarlo. E’ il
José Mourinho, 52 anni
tema più radicale della letteratura portoghese e del Sousa-pensiero.
E’ la sfida verso un limite che trovi in te stesso. Lo scopri in ogni gara che giochi: è il cardine della filosofia dell’allenatore della Fiorentina. Il turbamento è un gol che non arriva, una combinazione che non funziona, un periodo maledetto. Franano le tue certezze. La sfida è recuperarle. Nei grandi racconti il turbamento è rappresentato in forma iperbolica. Fatti grandi e incomprensibili. Saramago comincia le sue “Intermittenze della morte” con la notizia che da quel giorno nessuno morì. Fatto che “causò negli spiriti un enorme turbamento”. Affrontare il turbamento e risolverlo è precisamente la missione di una squadra. O di un popolo. Che si offre, vincente, al confronto con il limite. Come la cura alla grande “Cecità” descritta sempre da Saramago in un altro celebre romanzo. Ogni portoghese Nils Liedholm studiava il modo di affascinare gli interlocutori: ai suoi tempi l’area stampa, specie negli anni della Roma, era improvvisata lungo i campi di gioco. Lo svedese raccontava o inventava episodi in grado di creare un’aura molto particolare attorno agli eventi che voleva valorizzare. Un uso cosciente, ironico, dell’allegoria. Il mito della sua infallibilità, ad esempio, era corrisposto da episodi, amplificati o inventati di sana pianta: l’allenatore svedese ricordava di un lungo e misterioso applauso che scosse un sonnolento fraseggio a centrocampo in un tal giorno a San Siro. Liedholm - raccontava lo svedese in terza persona - aveva sbagliato il primo passaggio dopo 800 andati a buon fine. Il mito della sua straordinaria forza e dell’homo sportivus nato per essere niente altro che un atleta, veniva accompagnato da sorprendenti e non verificabili presenze nelle nazionali giovanili di quasi tutte le discpiline svedesi. Olimpiche e no. Anche del tipico Bandy. Liedholm sosteneva di essere stato più volte campione di questa specialità che somiglia all’hockey, ma si gioca su un campo di calcio ghiacciato. Ma a dare l’idea del comunicatore guru è stato Mourinho, forse involontariamente sospinto dall’uso portoghese della lingua italiana. Il rumore dei nemici divenne per mesi un’autentica figura retorica, utilizzata un po’ da tutti: in grado di competere con quelle della produzione cimematografica americana. Con un vantaggio: è vera, perché riferita a sfide vive in cui tutti si stavano immedesimando. che eccelle nella sua arte è sempre costretto poi a misurarsi con le sfide del “Livro do Desasocego”, la Bibbia laica di quel popolo. Basta osservare i riferimenti calcistici al «tempo», fatti da Paulo Sousa. C’è solo il tempo presente, come in Pessoa, che attinge da Agostino, è il tempo presente che conta. La gara dell’oggi, non ci sgomenta. Anche se è lì il sogno o la paura del domani, è accompagnata dalla «tenerazza per quello che non è potuto accadere» (312, Libro dell’inquietudine). Ma la tenerezza per quello che poteva essere non trattiene Pessoa dal credere che il passato non esiste e il futuro non c’è ancora. Tutto si svolge adesso. Questo ci dice Paulo Sousa ogni volta che gli si chiede delle imprese che verranno o di quello che è appena capitato. Sousa è un esperto senza rimpianti del provvisorio, perché guarda, come tutti i campioni dello sport, all’eterno.