«IL MIO PALERMO VUOLE DIVENTARE COME L’ATALANTA» «Piansi quando Chimenti andò via e dopo la mia nomina nello spogliatoio» «Ho due priorità: restyling dello stadio e un centro sportivo entro il 2020»
La promessa del presidente Mirri: «La serie B arriverà in tre anni Il modello è il bergamasco Percassi E con Barbera sempre nel cuore»
Il tassista frena di botto nel traffico e mormora. «Era un incubo, siamo rinati». Un caffè in centro e ti convincono che «la splendida monarchia di Zamparini era diventata solo monarchia. Di splendido nulla». Palermo è coloratissima, più bella di sempre, una calamita di passione ritrovata. Figlia-sorella-cugina-parente stretta dell’invocata restaurazione calcistica. Sono 28 gradi all’ora di pranzo, un sole che illumina come se fosse il testimone più fedele della rinascita. Allo stadio ci sono operai al lavoro e poi arriva lui, alle 17 in punto: Dario Mirri, 50 anni, il presidente potenzialmente più tifoso in circolazione. Il nipote di Renzo Barbera, lo stesso che nel 1979 (aveva 8 anni) scoprì che suo zio aveva ceduto Vito Chimenti. «No, impossibile, il mio eroe...», bisbigliò, piangendo, al papà Daniele. «Per favore chiama zio, digli che Vito è il nostro idolo e che non può andar via». Oggi Mirri ricorda: «Zio disse a papà “consola tuo figlio, digli che i calciatori passano, i presidenti anche, il Palermo resta”. E per me quello resta il manifesto della grandezza di Renzo Barbera. Infatti, quando Zamparini cedette Dybala capii. Ho una missione, sono il presidente del club che adoro. E pensando a Renzo Barbera non posso che avere un milione di motivazioni per arrivare fino in fondo ai desideri».
Quali desideri?
«La Serie B presto».
Firmerebbe per arrivarci in quattro anni?
«No, sono troppi. Facciamo uno sconto, in tre va bene».
Il 24 luglio vince la volata: il Palermo a Mirri.
«Avevamo un impegno con la mia azienda leader nel campo della pubblicità, avevamo contribuito al pagamento degli stipendi. Ma quel giorno mi si è aperto un mondo, ricordo l’emozione del mio socio e vicepresidente Tony Di Piazza, come quel sogno che pensi irrealizzabile. Una mattina ti svegli, apri gli occhi e capisci che è vero».
Ha pianto anche in quelle ore?
«Piango spesso per il Palermo. Quando andò via Vito Chimenti e mi spiegarono perché. Quando perdemmo una finale di coppa Italia a Napoli contro la Juve, vincevamo e ci sorpassarono ai supplementari. E non troppe settimane fa, quando entrai da presidente nello spogliatoio dello stadio intitolato a mio zio. Pelle d’oca. Lei non si sarebbe commosso?».
Cosa promette? «I risultati no, sarei un folle se dicessi le vinciamo tutte. Certo, quando mi chiede dove vorrei essere entro tre anni, se non rispondessi in serie B sarei ipocrita. Ma prometto un’altra cosa».
Non ce l’ha ancora detto.
«L’appartenenza. Il senso di appartenenza, quello che la città vuole e pretende, la stessa cosa che ha rimproverato a Zamparini. Soffocare la passione è imperdonabile. Ci sono i numeri».
Quali?
«Palermo non può dare duemila abbonati in serie B. E non lo dico perché, noi in serie D, ne abbiamo fatti oltre diecimila. C’era la necessità di svoltare e di ripristinare l’appartenenza. Chiunque avrebbe fatto il record di tessere, a patto di garantire i suddetti requisiti. Il calcio non può essere soltanto business, schiaffeggiando il sentimento popolare».
Ha adottato il Palermo.
«È il vero amore della mia vita. Ovviamente dopo mia moglie Chiara e le tre figlie Nanni, Eleonora e Adele. Respirare, palpitare, gioire, soffrire per quella maglia. E ritrovarsi nella stanza dei bottoni è fantastico».
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Ha scelto pochi collaboratori. «Sagramola e Castagnini hanno uno spessore superiore alla media. Io non metto lingua, muto sono . Non mi addentro nelle vicende tecniche, non mi vedranno nello spogliatoio mentre Pergolizzi parla alla squadra. Sono un presidente tifoso che soffre e partecipa e risolve gli altri problemi».
I primi due?
«Restyling dello stadio e un nuovo centro sportivo entro il 2020. Spero che l’amministrazione ci dia una mano, sono due priorità. Io studio e ho scelto un modello». Un suo collega?
«Sì, Antonio Percassi». Perché?
«Ma proprio per quel famoso senso di appartenenza. Io non lo conosco personalmente, ma mi aggiorno, seguo. Percassi è l’Atalanta, trascina la folla. Un esempio, il nuovo Palermo deve essere così». E come non deve essere? «Arrogante mai, è il nostro manifesto».
Ci rivedremo presto. «Ho una data».
Prego.
«L’8 dicembre al “Barbera“arriverà l’Acireale, la nostra vera antagonista per la promozione in serie C. Ho una previsione».
Vincerete?
«Non lo so, ma torni qui. Ne troverà trentamila allo stadio».
«L’8 dicembre contro l’Acireale saranno in 30mila a sostenerci»