SOLO LA CINA PUÒ SALVARE VENEZIA
Il centro storico di Venezia, quello che il resto del mondo pensa che coincida con l’intera città, chiude il 2017 con poco più di 53.000 residenti; un migliaio in meno di un anno fa, ma ben 120.000 in meno del 1951, persi da allora con una regolarità impressionante. Un andamento che, così continuando, porterebbe ad un sostanziale azzeramento della popolazione di Venezia storica entro 10 -15 anni. O ancor prima; per l’agitarsi di fenomeni nuovi - che il 2017 ha messo in evidenza — che hanno a che vedere con la globalizzazione dei mercati e la rivoluzione digitale che stanno cambiando l’economia e la società di ogni parte del mondo. La globalizzazione del mercato – quello turistico che oggi interessa Venezia — è percepita da tempo, ma la dimensione che va assumendo sono tali da rendere incolmabile la sproporzione tra la capacità di accoglienza della destinazione Venezia, che in quanto storica non è ampliabile, e la domanda illimitata di «vedere Venezia» che il mondo esprime. Una sproporzione che rende conveniente, oltre che un aumento dell’offerta di strutture complementari (alberghi e altre forme di accoglienza turistica) a Mestre e in mezzo Veneto, la trasformazione di «tutta» Venezia storica – al di fuori del ridotto costruito attorno all’Università, alla Biennale, alle altre fondazioni culturali e artistiche, al porto passeggeri e a un po’ di pubblica amministrazione - in offerta turistica. Tutta Venezia; perché - e qui entra in ballo la sharing economy (l’economia della condivisione) - le piattaforme digitali, come Airbnb, consentono oggi di «condividere» direttamente con singoli residenti temporanei tutto o parte del proprio alloggio od alloggi sottratti ad hoc alla residenza stabile. Le piattaforme alla Airbnb hanno abbattuto anche l’ultimo muro che difendeva almeno la residenza da un più «efficiente» e massiccio uso turistico dell’intero patrimonio edilizio della Venezia storica. Se accanto ai palazzi che diventano alberghi pratica alla quale stanno contribuendo anche la Regione del Veneto, il Comune di Venezia e la Camera di Commercio di Venezia con propri immobili— e alle botteghe artigiane che diventano ristoranti o negozi di chincaglierie, tutte le case diventano potenziali residenze temporanee, perché incomparabilmente più redditizie delle residenze stabili, il disaccoppiamento del destino di Venezia urbs da quello di Venezia civitas è compiuto. Vi si può resistere per un po’, ma le differenze di rendita alla fine prevarranno.
L’urbs, il costruito storico veneziano, verrà conservato e tramandato dai «padroni» dell’offerta turistica; la civitas, la comunità veneziana, sarà invece condannata alla diaspora. Una prospettiva che non può non angosciare i veneziani superstiti, ma che, c’è da scommetterlo, non turberà più di tanto né l’Unesco né il mondo intero, il cui interesse sta tutto nella «Venezia da vedere». È una prospettiva evitabile? O un destino comune anche ai centri storici di Firenze o di Roma? Firenze e Roma si salvano dal disaccoppiamento totale urbs - civitas perché, almeno per il momento, incrociano globalizzazione e rivoluzione digitale forti di una base economica non turistica consolidata. Roma per le attività statali che ospita entro le mura aureliane, e quelle direzionali che la capitale attira, e Firenze per la presenza nel centro storico di un distretto degli affari e professionale ancora sufficientemente radicato. E Venezia? Non disponendo più in centro storico di una base economica alternativa al turismo, la sola possibilità di sottrarsi ad un destino segnato sta nel costruirsene con pazienza una di nuova. Ma non una qualsiasi perché deve necessariamente essere di caratura globale, e percepita tale dal mondo intero. Una possibilità che esiste anche se è stata finora colpevolmente sottovalutata. La sola possibilità di vedere tra qualche anno un albergo veneziano riconvertito in uffici o residenze sta nella capacità – nel coraggio dei governi di capire e prendere sul serio il messaggio che la Cina di Xi Jinpin lancia ripetutamente da almeno tre anni: Venezia come terminale occidentale della Via della Seta Marittima del 21° secolo. Un messaggio ribadito anche dopo le risposte en fin de non recevoir date dal governo italiano, prigioniero di una lettura della proposta cinese in termini banali di politica portuale. Un progetto italo-cinese capace di «rottamare» a favore dell’Italia, del Nordest, e quindi, solo quindi, anche di Venezia l’intera catena logistica delle relazioni commerciali tra Cina e il resto dell’Estremo Oriente, da una parte, e l’Europa via Adriatico e Nordest, dall’altra, è progetto di caratura globale capace di cambiare la faccia del nostro Paese a partire da quella della terra che attorno a Venezia – da Ravenna a Trieste, dal Brennero a Tarvisio servirebbe relazioni privilegiate Cina-Europa.