Parole, note e bellezza: così Fiorenzo è qui con noi
Perché, ad un mese di distanza dalla scomparsa, un incontro digitale per ricordare Fiorenzo Alfieri? Perché nessuno di noi, nonostante la razionalità che ci contraddistingue, riesce ad ammettere di aver perso Fiorenzo. Non ce la fanno gli amici, ma nemmeno quelli con cui discuteva, anche animosamente, per far valere le proprie opinioni, che era tuttavia pronto a cambiare se l’interlocutore riusciva a trovare idee o soluzioni migliori delle sue. La vita di Fiorenzo, va detto, è stata comunque lunga e felice. Felice perché dotata di una curiosità di una vitalità, di una disponibilità ad apprendere e a distribuire l’infinita ricchezza del sapere, davvero senza pari.
«L’uomo per cambiare deve essere stravolto, deve davvero essere immerso in un contesto d’incanto, in un orario perfetto, le sei del pomeriggio. Arriva il fuoco, la musica, una storia avvincente. Così il teatro, con la catarsi, ci cambia». Quello che Fiorenzo racconta ad Antonia Spaliviero (e che vedrete per la prima volta grazie a Gabriele Vacis, oggi online dalle 18.30 anche sulla pagina Facebook del Corriere Torino) unisce cultura e formazione, ci fa capire perché vogliamo continuare ad averlo con noi. Per aiutarci a cambiare la società in un momento di passaggio eccezionale, simile a quello che Fiorenzo e la sua generazione vissero con il boom. Non a caso, Fiorenzo aveva in prima persona messo mano alla delocalizzazione della cultura, l’aveva usata per far crescere il livello dei giovanissimi che abitavano in periferie ben più dure di quelle in cui viviamo oggi. Ma all’epoca la speranza di una crescita infinita offuscava — ed insieme esaltava — i contrasti. Oggi, siamo in un trend opposto, di perdita di popolazione, di ripensamento del concetto stesso di lavoro, di potere, di sapere perfino. Nel corso del tempo forse Fiorenzo poteva apparire come lontano da quei primi decenni di lavoro quotidiano con i giovani immigrati, con gli insegnanti appena entrati in ruolo. Eppure la sua riflessione era, per quanto ci consta, sempre basata su una visione olistica della pedagogia; e si metteva alla prova con arti che lo incuriosivano ma di cui era anche in grado di dubitare. Fiorenzo non è mai stato partigiano, non si mai sostituito agli esperti di settori, ai direttori artistici, ma li ha aiutati con una committenza attiva, aiutandoli a capire come potevano essere utili alla società con le loro professioni, anche quando lavoravano sulla bellezza assoluta. Bellezza rappresentata dalla musica, in particolare dal suo amatissimo Mozart, di cui la serata ricordo di oggi si nutrirà con tre esecuzioni della Filarmonica del Regio. Di un terzo elemento si componeva la vita di Fiorenzo: la capacità di sviluppare amicizie profonde, di curarle, di mettere insieme persone diverse, farle incontrare. Non era politica questa, anzi; era pedagogia purissima. Una società che non si conosce, e che non conosce, è una società monca, debole. Le letture di Gabriele Vacis e di Mariella Fabbris, insieme ai giovani del Teatro Stabile, ci racconteranno anche questo tratto di stile umano. Presto, però, speriamo di parlare di Fiorenzo dal vivo. Perché il suo insegnamento ce lo richiede. Appena possibile.