Sulle tracce di Gustav Klimt
E di Schiele, Wagner, Moser... I quattro cavalieri del Modernismo, scomparsi tutti nel 1918. Un viaggio tra musei, boutique, caffè per ritrovare i colori e le energie della stagione artistica che rivoluzion˜ la capitale austriaca
Che
cosa, più di un dipinto di Gustav Klimt, evoca le atmosfere della Vienna di inizio Novecento? La sua opera è un concentrato dello spirito del tempo. Sbarcare adesso nella capitale austriaca e perdersi, ancora una volta, nei giochi grafici e nei colori dorati di Klimt è già entrare in sintonia con il centenario del Modernismo. Una festa per l’autore del toccante Morte e vita (1910), per i suoi amici Koloman Moser e Otto Wagner, per il coevo pittore espressionista Egon Schiele. Tutti scomparsi nel 1918, l’anno che vide la fine della Prima guerra mondiale e dell’Impero asburgico, e che chiuse, con l’epidemia di influenza spagnola, una stagione di altissima creatività. Un percorso che nei prossimi mesi accenderà la città di eventi e occasioni, con i linguaggi dell’architettura e dell’artigianato, del design e della gastronomia. Nei palazzi dell’epoca, ora divenuti hotel e gallerie, e nei luoghi frequentati dagli artisti di allora e di oggi. A cominciare dai tradizionali, sontuosi cafè, tuttora affollati. “Una particolare istituzione non comparabile a nessun’altra al mondo”, scriveva nel 1942 un frequentatore fedele, lo scrittore Stefan Zweig, nell’autobiografia Il mondo di ieri. “Di fatto una specie di club democratico, la cui ammissione costa il piccolo prezzo di un caffè”. Per capirlo, basta andare al Cafè Central, nell’elegante Palais Ferstel, riferimento degli intellettuali, o al Cafè Museum, altra icona aperta nel 1899 e opera di Adolf Loos, pioniere dell’architettura moderna. Gli interni minimalisti, con sedie in legno curvato, destarono scalpore, ma era il luogo più alla moda di quei giorni. La Secessionisten-Tschecherl, lo chiamavano, usando il termine yiddish per “piccola oste-
ria” (da tschechern, “bere molto”), o il Cafè Nihilismus. I caffè. Sempre ideali per resistere al freddo inverno viennese, a colazione come per uno spuntino. Dal brunch a una merenda con un’insalata o a una Wiener Schnitzel originale: sottile, di vitello, fritta nello strutto. La Secessione viennese nacque mangiando e discutendo qui. Nel 1897. Un movimento che rompeva con uno storicismo che guardava solo al passato, così come con l’accademismo appiattito sul potere e sulle tradizioni. Meglio provocare,
mescolare scultura e ceramica, architettura e grafica, epoche e stili. Proprio a due passi dal caffè si trova il Palazzo della Secessione - con il fregio di Beethoven dipinto da Klimt - progettato da Joseph Maria Olbrich, allievo di Otto Wagner e firma anche di capolavori come l’ipercromatica Casa delle maioliche, su Linke Wienzeile, e della Banca delle Poste di Georg-CochPlatz. “La Secessione echeggiava l’Art Nouveau in Belgio e Francia, lo Jugendstil tedesco, il Modern Style inglese e il Liberty italiano”, spiega Franz Smola, curatore per le arti del XX secolo al Museo del Belvedere.“Ma a Vienna si sviluppò con più sfaccettature, abbracciando anche la versione più epurata del Modernismo, per poi tornare a uno stile più elaborato. Era lo spirito della Wiener Werkstätte, comunità di produzione per le arti applicate. Fondatori, nel 1903, Koloman Moser, quasi un designer ante litteram, e l’architetto Josef Hoffmann, sotto il patrono e finanziatore Fritz Wärdorfer”. Il Belvedere è il massimo scrigno della pittura viennese, con le opere principali di Gustav Klimt, Egon Schiele e del pittore Oskar Kokoschka, altra star di questa primavera dell’arte che aveva nella rivista Ver Sacrum, sfogliabile in Pdf sul sito del museo, l’organo ufficia- le. Tra le mostre imperdibili dell’anno secessionista (l’elenco è su viennesemodernism2018.info/it/events) spicca quella del Leopold Museum, dedicata proprio a Schiele, dal 23 febbraio al 4 novembre. In mostra i nudi che scandalizzarono il mondo e costarono a Schiele il carcere. Ancora oggi, ricomparsi sui poster per lanciare l’anno modernista in Inghilterra e Germania, sono stati censurati. Si va invece al MAK (Museo austriaco di Arti Applicate/Arte Contemporanea) per gli arredi avanguardisti di Hoffmann e Moser, oggetto di collezionismo appassionato, come raccontano le aste da Dorotheum.“Il fattoremodache caratterizza il Modernismo significava allora, e significa ancora oggi, un valore aggiunto: in termini di soggettività e individualità”, spiega Magda Pfabigan, esperta di Art Nouveau per la celebre casa d’aste.“L’idea era coltivare la bellezza non in una nicchia elitaria, macomeelemento costitutivo della vita quotidiana”. Il principio sempre attuale si ritrova ancora nella boutique del vetro di Lobmeyr, azienda giunta alla sesta generazione, o tra le porcellane Augarten, che ancora utilizzano disegni di Hoffmann. O da Backhausen, famosa per i tessuti e fornitrice sin dalla prima ora del Werkstätte, di cui riprende
molti motivi decorativi. anche in letteratura e musica la spinta innovativa fu strabiliante. il drammaturgo Hugo Hoffmansthal e lo scrittore Arthur Schnitzler. il grande salto nel futuro della musica dodecafonica, a cui lavorarono Alban Berg e Anton von Webern, e il nuovo concetto di morale innescato da Sigmund Freud. Tutti a vienna, tutti a cavallo fra l’ottocento e il nuovo secolo. “Certo, non sempre si conoscevano personalmente”, aggiunge ancora il curatore del belvedere franz Smola. “Ma erano immersi nello stesso clima da boom economico e culturale: nel 1910 vienna contava oltre due milioni di persone, più di oggi.” Una città che ispirava a creare e a vivere pienamente, gli studi come la vita. Secondo Stefan Zweig il rinascimento cittadino nacque tanto nei teatri e nelle gallerie come nelle pasticcerie, nelle vinerie e nei ristoranti di lusso. Ci si sente secessionisti ai tavoli di Sluka, da 125 anni tempio dello strudel. o da Steirereck, dove anche lo chef, Heinz reitbauer, tra i più famosi del Paese, contagiato dalla febbre modernista, ha messo in menu ricette a tema, recuperando ingredienti quasi dimenticati come le lumache, il piccione, i gamberi di fiume e lo zafferano, di cui l’austria fu forte produttrice. Ma si omaggia un’epoca anche solo passando dai chio-
schi che da oltre un secolo riscaldano creativi e bohémien dopo il ballo o il concerto. Con un würstel o, d’inverno, un piatto di Gulaschsuppe, zuppa di gulash, o di Altwiener Suppentopf, minestra viennese di carne e verdure, come da Bitzinger, vicino all’Albertina Museum (bitzinger-wien.at). “vienna è ancora piena d’energia. ilPalazzo della Secessione di Joseph Maria olbrich, sormontata dal motto Al tempo la sua arte, all’arte la sua libertà, la più antica istituzione indipendente al mondo per l’arte contemporanea, è diretto come un secolo fa dall’associazione di artisti visivi della Secessione, e sceglie ancora le mostre secondo puri criteri artistici”, ricorda aldo Giannotti, che vive e opera in città e ha appena decorato un muro di 40 metri nel Palazzo della borsa, ogni anno affidato a un artista diverso. La vienna, che per il 2018 ha stanziato 278,5 milioni di euro per l’arte e la cultura, dove crescono ogni anno il pubblico dell’Art Week di novembre (viennaartweek.at) e le iniziative del Köer (Kunst öffentlichen raumWien), ente che porta l’arte contemporanea negli spazi pubblici (koer.or.at). Sono i motivi per cui “questa resta una città dove ogni artista può sempre trovare il suo spazio”. oggi come ieri.