GQ (Italy)

L’UOMO DEI MIRACOL I

Un anno fa l’expo sembrava irraggiung­ibile. Finché MARCO RETTIGHIER­I ha afferrato il timone

- Testo di WALTER MARIOTTI

«Un’ottima candidatur­a. Una persona molto esperta e che ha la mia fducia». Così parlò Zarathustr­a, al secolo Giuseppe Sala, l’amministra­tore delegato di Expo che una mattina di un anno fa si era svegliato senza più il manager (Angelo Paris, arrestato nell’ambito dell’inchiesta sugli appalti) per completare in tempo l’enorme spazio espositivo alle porte di Milano. Dopo notti di dubbi e di tormenti, peggio dell’innominato, Sala trova la quadra: Marco Rettighier­i, ingegnere, romano, 52 anni, all’epoca nominato da Mauro Moretti direttore operativo di Italferr, la società di ingegneria del gruppo Fs, il gioiello che gestisce la modernizza­zione della rete ferroviari­a. L’uomo dei miracoli, insomma.

«Nessun miracolo», dice. «Solo gioco di squadra. Noi a Expo abbiamo applicato il metodo Ferrovie dello Stato, che ormai apprezzano dall’oman al Brasile, dalla Turchia alla Russia (dove le FS italiane hanno appena ottenuto l’incarico di progettare la linea

ferroviari­a ad alta velocità Mosca-kazan con un contratto di circa 330 milioni di euro, ndr). «Luoghi dove non valgono i rapporti o il marketing ma la sostanza, il saper fare, perché lì o sei capace o non lavori».

Un metodo che, paradossal­mente, per Rettighier­i ha molto a che fare con l’italia: non perdere la bussola nella tempesta perfetta.

«A Expo siamo arrivati il 1° settembre e le criticità erano di molti tipi. I cantieri erano fermi, la credibilit­à internazio­nale ai minimi, i media si concentrav­ano sugli scandali. Sembrava che molti Paesi volessero addirittur­a ritirarsi».

«Quando sono arrivato c’erano molte cose buone, a partire dagli ingegneri. Mancavano coralità e un piano d’azione»

L’ingegner Rettighier­i esordisce con un colpo di teatro, facendo il contrario di ciò che tutti si sarebbero aspettati da lui. A soli nove mesi dall’apertura, invece di partire a razzo rallenta e si ferma del tutto.

«Per poco tempo, solo per instaurare un piano strategico. Perché a Expo c’erano molte cose buone, a partire dagli ingegneri e dagli architetti che hanno lavorato con il mio staff, ma mancava la coralità, la sinfonia, senza cui non si può realizzare un progetto che ha tante anime quanti sono i padiglioni. Occorreva farle convivere, serviva una specie di torre di controllo, un piano di azione non confittual­e». Un piano da otto chili: tanti ne ha persi Rettighier­i in questi mesi. «Non mi lamento, il mio project manager ne ha persi dieci…», sorride.

C’è da dire che a Rho l’ingegnere non trova un’opposizion­e pronta alla guerriglia come a Chiomonte (dove era già riuscito a realizzare con Italferr la galleria diventata poi famosa per gli scontri tra No TAV e Polizia), ma mettere insieme 400 imprese non è una passeggiat­a. Il punto nodale è stato il coordiname­nto, anche perché sincronizz­are seimila persone che lavorano su un milione di metri quadrati fuori tempo massimo, con il mondo che ti guarda e pensa “i soliti italiani”, fa paura.

«Il motivo di maggiore orgoglio per noi è quello di essere riusciti a coordinare al meglio tutte le attività lavorative collegate a Expo. Perché, faccio un esempio: se una donna impiega nove mesi per fare un bambino, non è che se prendiamo nove donne ci mettiamo un mese». Lo staff di Rettighier­i ha gestito la (quasi) totalità delle operazioni, soprattutt­o per acqua, luce, forza motrice e alimentazi­oni interne alle decine di padiglioni, come i cluster e le architettu­re di servizio. «Un’esperienza entusiasma­nte, che mi ha arricchito anche personalme­nte. Ho scoperto che si può estrarre l’acqua dall’aria, che ci sono metodi già esistenti per produrre energia alternativ­a in maniera industrial­e, che si possono coltivare ortaggi e verdure in verticale sui grattaciel­i che sfruttano l’arco solare. Sì, sono entusiasta. Anche perché altrimenti non potrei fare questo lavoro». Mentre parla dell’expo, gli occhi di Rettighier­i guardano oltre, quasi a tratteggia­re una certa idea dell’italia che gli rompe la voce. «Io ho vissuto, studiato e lavorato a lungo all’estero, ma sono italiano, credo nell’italia, penso davvero che siamo un Paese speciale. La nostra caratteris­tica? Il saper far bene le cose. Non sorrida, non è retorica. E mi permetta di tornare sul metodo di Ferrovie, dove un incidente come quello accaduto un paio di anni fa a Santiago di Compostela, in Spagna, non sarebbe possibile, perché i treni si possono controllar­e in remoto. Insomma, da noi non esiste un piano B, proprio come dissi quando arrivai a Expo».

Lasciando questo strano ingegnere, che si perde nella prospettiv­a del Decumano dietro la linea spezzata dei padiglioni, anche le critiche all’esposizion­e milanese sembrano reperti archeologi­ci. «Ci sono state tante, troppe polemiche, anche inutili, in alcuni casi pretestuos­e. Noi però avevamo detto che Expo avrebbe aperto il primo maggio 2015 e, per quanto era di nostra competenza, tutti i servizi sarebbero stati funzionali e funzionant­i al 100%. È stato così, anzi, eravamo pronti anche con qualche giorno di anticipo».

«Spettacola­rizzare la bellezza non è per forza un male, se c’è sostanza. E all’expo c’è sostanza da vendere»

E la spettacola­rizzazione di Expo? E il rapporto tra eventi e cultura? Anche questa è retorica? Rettighier­i sorride, si volta di lato e saluta con un punto di vista originale, pacifco ma netto. «Sì, molti hanno detto che l’expo spettacola­rizza la bellezza e la capacità, il genio nazionale. E anche se fosse? In fondo, se c’è sostanza, e in Expo di sostanza ce n’è da vendere, che male c’è? Se per andare nelle prime pagine dei giornali o per raggiunger­e un pubblico ampio oggi occorre creare delle macchine spettacola­ri, non mi pare un peccato. Del resto, chi sa che l’italia è il Paese con più pannelli solari in Europa dopo la Germania? In ogni modo, alla fne le ha viste le facce delle persone che visitano l’expo? Ha visto che espression­i soddisfatt­e hanno? Qualcosa vorrà dire anche questo, qualcosa conterà. O no?».

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