GLI UOM I N I DEL CAPO
Come gira la presidenza di MATTARELLA? Lo si intuisce da chi ha portato al Quirinale. Non proprio renziani di ferro
italiane», un altro che «i veneti sono ubriachi di natura». Ci prova anche con le parole, ma è con le immagini da cartellone, «con quei manifesti che sono le cattedrali del nostro tempo», che è riuscito a legare la banalità di un prodotto qualsiasi alla più densa sostanza filosofica.
«Quei manifesti sono le cattedrali del nostro tempo»
E continuano a viaggiare. Oliviero «dovunque e comunque fotografa la razza umana » . Luciano «tra i popoli meno integrati» con in testa una mappa del mondo «dai siciliani ai curdi, dagli indiani d’america agli inuit del Polo Nord» fatta di tele 10x12: Imago Mundi. Ma a Oliviero pare «una luna calante», più che la geografia come orizzonte largo ci vede «la collezione». Ma «di arte democratica», ammette Benetton.
Oliviero gli contrappone «i nostri viaggi da pirati, con la bandiera della United Colors che era la bandiera dell’antirazzismo». In Sudafrica, dice Luciano, «non rubavano le auto della Benetton. Tuttavia una volta ci rubarono i camioncini. Trovarono i ladri e de Klerk me li mostrò: erano bianchi».
Treviso è la «tana d’eleganza». Villa Minelli, dove mangiamo, è «il luogo dove spazio e tempo coincidono: qui i fiori, gli odori e l’aria riassumono la mia vita». Lo chef è Davide Croce, alto più di due metri, un ex campione del Benetton Basket. Il risotto con le seppie è buono «e bello da vedere».
L’utopia di Benetton a tavola è «la squisitezza che non intos- sica». Non è più il campione da osteria che alle otto passava dall’ufficio di Oliviero e «ogni sera era Natale: abbiamo mangiato e bevuto di tutto».
Ora si controlla: «La mattina vi batto tutti però, uova, frutta…». E il vino? «Nel weekend con gli amici». Oliviero invece crede ancora nel bisteccone «davanti a una tovaglia macchiata di sugo e di vino a denominazione incontrollata». Insieme dicono che «l’allegria è indispensabile alla buona digestione».
Luciano è snello, con i capelli bianchi ancora ariosi e lunghi. Veste “alla Benetton”. Di Oliviero dice: «Veste male». Solo per amore non aggiunge «mangia male». Oliviero pensa che «bisogna scegliere tra l’eleganza e la libertà» e si veste «come a vent’anni, come i ragazzi che negli Anni 60 avevano la testa spensierata e matta». Hanno avuto mogli e tanti figli, le loro famiglie sono così numerose che «nelle adunate manca sempre qualcuno». Entrambi si sottraggono al «ti ricordi?». Eppure qui sono nate le immagini che arredano il nostro tempo: il pretino che bacia la novizia, il bimbo bianco al seno della mamma nera, lo strazio del malato che muore di aids, il neonato attaccato al cordone ombelicale, i preservativi, le carrette del mare, il delitto di mafia, i bambini lavoratori, il cimitero di guerra, la gigantografia dei sessi maschili e femminili alla Biennale del 1993, rifiutata da tutti i giornali tranne Libération: «Avevamo contro persino Le Monde ». Dice Luciano: «Non sempre facevamo quello che ci conveniva. Economicamente, dico». Avevano capito che «gli slogan e le visioni della pubblicità, al di là della trasgressione, rimandano alla grande letteratura e ai pennelli di Boccioni, di Picasso e di Magritte».
A Fabrica c’è una riunione di industriali. Una signora con i tacchi e il tailleur bianco ringrazia Benetton «perché ci ha permesso di fare la convention in questa magnifica location».
Alle parole “convention” e “location” Luciano, muto e impenetrabile, ha forse un fremito. Oliviero sbuffa: «Qui, senza bisogno di cartelli, c’erano dei divieti d’entrata che venivano rispettati: ai razzisti, ai pigri, ai cretini, al cattivo gusto… e alle donnette in carriera». Insieme dicono che «il mondo è di chi ha torto» e insieme tornano a organizzare un futuro senza fine.
«NON TUTTE L E VO LT E FAC E VAMO Q U E L LO C H E CO N V E N I VA »