Brutti romanzi per buoni film
D i N I CCO LÒ A M M A N I T I
L’adattamento cinematografico di un romanzo è sempre una questione spinosa, di cui si discute molto.
Durante una presentazione, una buona parte della discussione verte, grazie alle domande della platea, sul mio grado di soddisfazione delle trasposizioni filmiche dei miei libri e sulla difficoltà di scrivere la sceneggiatura. E, quasi senza volerlo, arrivo alla conclusione di essere sempre parzialmente soddisfatto.
Io, esattamente come i miei lettori, avevo la mia idea dei personaggi, delle ambientazioni mentre scrivevo e ho, sempre, fatto fatica ad accettare la lettura fatta dal regista della mia storia, ai volti scelti per i miei personaggi. C’è una strana discrasia tra l’opera cinematografica e quella letteraria che mi pone domande a cui non so rispondere.
Su questo argomento ho appena finito di leggere un libretto divertente e istruttivo: I segreti di Shining. King contro Kubrick, di Alessandro Gnocchi, pubblicato da Barne Edizioni. Il saggio, in un centinaio di pagine, racconta la genesi del romanzo, della pellicola e nell’ultimo capitolo dello scontro feroce e implacabile, a colpi di interviste, tra lo scrittore e il regista. L’odio che provò lo scrittore alla vista di quella trasposizione che secondo lui, sebbene rispettasse la sua trama, non rispettava l’essenza del suo lavoro e lo stravolgeva.
King, che non aveva lavorato alla sceneggiatura ed era stato chiamato al telefono dal regista inglese solo per sapere se cre- deva all’inferno o ai fantasmi, disse che: «Kubrick è uno dei tre o quattro grandi registi dei nostri tempi, forse di ogni tempo, ma credo che sia indulgente con se stesso. Arancia Meccanica non è più attuale. Altri film invece reggono benissimo: Dottor Stranamore, 2001: Odissea nello spazio. Anche Barry Lyn- don durerà. Shining potrà forse essere un insuccesso artistico ma credo che durerà». E continuò: «C’è troppa carne al fuoco. Ma è come una grossa Cadillac senza motore. Ti puoi sedere e sentire l’odore della pelle nuova − solo che non puoi andare da nessuna parte. Io farei tutto in modo differente. Il problema è che Kubrick si è avviato a fare un film dell’orrore senza apparente comprensione del genere. Ogni cosa di Shining grida questo dall’inizio alla fine, dalle decisioni prese sulla trama fino alla scena finale − che è stata copiata da un episodio di Twilight Zone ».
E Kubrick, dall’altra parte dell’oceano, nonostante la sua famosa ritrosia, ribatté: «Direi che la forza di King sta nella sua capacità di costruire trame. Dà l’impressione di uno che scrive un romanzo, lo rilegge, lo ripulisce e poi lo manda all’editore. Sembra preoccupato di ottenere le credenziali letterarie per il suo romanzo; tutte le citazioni di Poe da La maschera della morte rossa vanno bene, ma non sono così necessarie. Sembrava un po’ troppo preso dal rendere evidente a tutti che l’horror è un genere di letteratura meritevole di attenzioni».
I due non trovarono mai un punto di contatto. C’era, nell’interpretazione stessa della storia, qualcosa che li portava a respingersi. King era convinto che il regista inglese avesse tirato fuori l’orrore non dalle mura dell’hotel stregato ma dalla mente dell’alcolista Jack Torrance. In uno l’orrore era soprannaturale e nell’altro molto umano. Per ribattere la sua posizione, l’autore del Maine decise in seguito di produrre la sua versione per la tv di Shi- ning che francamente nessuno forse ricorderà.
Ho deciso di rileggermi il romanzo e rivedere il film.
Il libro non mi pare essere tra le cose migliori del Re. È prolisso, infarcito di flashback che tendono a giustificare la debolezza che porta un padre a tentare di sterminare la propria famiglia. Il guardiano si trasforma nel braccio armato dei fantasmi che lo abitano.
Lo Shining di Kubrick è immenso, il vero punto di svolta, una vera e propria rivoluzione del cinema horror. Con gli anni non ha perso una stilla della sua carica di terrore dirompente. Oltre alla grande interpretazione di Nicholson e del piccolo Danny, c’è una macchina da presa furiosa che insegue i protagonisti aspettando solo il compiersi della tragedia che si annuncia dalle prime inquadrature.
Quello che resta sono le due interpretazioni diametralmente opposte del Male. In King è esterno, trasuda dai muri e affonda nella debole e frustrata volontà di un alcolista; nell’altro caso, in Kubrick, è l’alcolista che impazzisce e trasfigura il mondo dell’albergo con allucinazioni di sangue e di morte.
Ho la sensazione che i film più riusciti sono quelli che da un’opera letteraria tirano fuori il nocciolo nascosto da un involucro e lo rivestono trasfigurandolo o adattandolo a nuove esigenze, e, paradossalmente, questo avviene meglio nei libri imperfetti.
Detto ciò, lunga vita a King e Kubrick.