Il tornado delle playlist
«È il momento migliore della storia per essere un africano». Parola di WIZKID , nuovo tornado delle playlist. Con uno stile benedetto da Naomi
Wizkid, il principe dell’afrobeat che piace a Naomi Campbell
«Gli esploratori hanno cercato l’el Dorado per secoli. Pensavano fosse in Sud America, invece era in Africa». Lo ha affermato con preveggenza Ulysses Klaue, il cattivo di Black Panther della Marvel, sintetizzando alla perfezione il “momento africano” che stiamo attraversando nella musica, nella moda, nel cinema, nella letteratura. Dalle metropoli del continente nero, la ventata di aria nuova è arrivata anche alle sfilate milanesi di Dolce & Gabbana per la collezione primavera/estate 2019, rappresentata da Wizkid, il duca nero dell’afrobeat nigeriano. Da quando è stato scoperto da Skepta e da Drake, pur di lavorare con lui (vero nome: Ayodeji Ibrahim Balogun) si è fatta la fila. Giusto per misurare la magnitudo del personaggio, Wizkid è arrivato a Milano sul jet privato di Naomi Campbell, che ha sfilato in passerella insieme a lui (e a un altro talento in grande ascesa, Tinie Tempah, britannico di origini nigeriane).
La sua musica è un contenitore globale che mescola il mescolabile: L’R&B, l’hip hop classico, il dancehall giamaicano, il pop più spudorato, l’afrobeat dell’africa occidentale. Nato nell’area metropolitana di Lagos, unico maschio, dodici sorelle, Wizkid il melting pop lo ha imparato direttamente a casa: padre musulmano, madre cristiana. Album di debutto a diciannove anni ( Superstar), poi arriva come un tornado nelle playlist di tutto il mondo da featuring artist, co-autore e co-produttore del singolo One Dance di Drake, la canzone più ascoltata di tutto il 2016. Oggi, a 28 anni, Ayodeji è il Black Panther dell’afrobeat, un segreto che l’africa non può più tenere nascosto.
L’appuntamento è nel backstage della sfilata al Metropol, lo spazio di D&G a Milano: ha il sorriso furbo, lo sguardo sfuggente, il suo umore oscilla dall’euforia per l’esperienza appena fatta all’autocontrollo di chi sa che non si trova qui per caso. Partiamo dalla moda: com’è andata in passerella? È molto diverso da quello a cui sono abituato, ma credo che farò sempre più esperienze di questo tipo. Ormai, la musica e la moda fanno parte di un pacchetto unico. Ogni volta che esco fuori, su un palco, devo essere sicuro di vestire in modo del tutto inedito, semplice e fresco. Non guardo ai nomi, ma alle combinazioni. Ha presente Pharrell Williams? Ecco. Lo stile deve essere giusto per la strada e per una festa, con parecchi tessuti africani. Molti capi mi piace disegnarli da solo, e in Nigeria abbiamo sarti davvero incredibili. Che cosa pensa di questa new wave africana? L’africa è stata la più forte influenza sulla moda negli ultimi due anni, e non solo: sta avendo un impatto sul mondo che il mondo proprio non si aspettava. Ha visto l’effetto Black Panther? Questo è il miglior momento nella storia per essere un africano. Ed è tutto spontaneo, non puoi forzare le persone ad amare qualcosa che non amano. Come è arrivata la musica nella sua vita? Cantavo nel coro della chiesa. La musica è arrivata così, il primo gruppo l’ho messo su con gli amici con cui mi esibivo a messa. Poi ho messo le mani su un cd di Snoop Dogg e tutto è cambiato. Ma il primo marchio è stato la benedizione di Dio. Quali sono state le sue ispirazioni principali? I miei genitori, innanzitutto. La mia famiglia è la mia guida, non la cambierei con niente al mondo. E poi Bob Marley e Fela Kuti. Il loro era un messaggio universale di amore e di rispetto. Soprattutto, non chiedevano mai scusa per quello che erano. È così che sono diventati icone in tutto il mondo. Vuole entrare nello stesso pantheon? Non lo so se succederà, ma so che voglio avere quello stesso atteggiamento. Non chiedo mai scusa per quello che sono, ovunque vada la prima cosa che metto sul tavolo sono proprio le mie origini: la Nigeria e l’africa. Come funziona il suo processo creativo? Parto sempre dal beat, dal suono, dalla vibrazione. Per fare musica io mi devo sentire bene, avere gli amici intorno, il vino, l’atmosfera di festa. È per questo motivo che viaggio e lavoro dappertutto nel mondo, ma vivo e registro le mie cose migliori sempre e soltanto a casa, a Lagos. Nel futuro non si vede residente americano? Lagos è il posto dove voglio vivere per sempre. Una città che non si può descrivere a parole, ma è la fonte principale della mia energia creativa, è una città tosta, folle, mi ha formato in tutto. E come lo vede, quindi, il suo futuro? Voglio ispirare i ragazzini: a Lagos ci sono musicisti incredibili, hanno dodici, tredici anni e si sono creati uno studio di registrazione in casa. Magia del digitale, queste cose non potevi farle negli Anni 70 o 80. Oggi hanno il potenziale per arrivare ovunque, e hanno talenti fulminanti. Io voglio essere il canale per portarli nel mondo, l’apripista per una generazione di giovani artisti africani. Devo usare in qualche modo il successo che ho: credo che questo sia il modo migliore.