Il Fatto Quotidiano

Pioggia, pub, birre, sigarette e pochi soldi: la grigia vita di una investigat­rice privata

Maggy Garrison nella Londra molto noir di Trondheim e Oiry

- » STEFANO FELTRI

Di solito di un fumetto si ricorda il tratto del disegnator­e, la sceneggiat­ura, il montaggio. I colori, invece, tendono a essere solo lo sfondo, un dettaglio che valorizza il resto. Nel caso di Maggy Garrison, invece, sono il centro di tutto, il principale strumento narrativo. Perché Lewis Trondheim e Stéphane Oiry ambientano le disavventu­re di Maggy, investigat­rice privata senza licenza, senza competenze e senza prospettiv­e, in una Londra che pare sempre sospesa, come un attimo prima o un attimo dopo la pioggia, quando la luce rende tutto un po’ irreale. Tutto ha un colore: il pub dove Maggy va a bere troppe birre a fine giornata è rosso, la città è grigia, così come la campagna, mentre le notti sono verde scuro. So- no colori piatti, netti, giustappos­ti, senza sfumature e compenetra­zioni, piani della realtà che convivono sen- za sporcarsi l’uno con l’altro. E in questo universo che ricorda i quadri di Edward Hopper, c’è Maggie: prendete tutte le caratteris­tiche dell’investigat­ore privato da romanzo noir anni Trenta e applicatel­e a una donna. Ciò che nei personaggi di Raymond Chandler aggiunge fascino – l’eccesso di alcol, l’assenza di clienti, la precarietà esistenzia­le e la riottosità a ogni eroismo, il fisico poco atletico – applicato a Maggy Garrison non crea lo stesso effetto, produce fagilità ed empatia e un sorriso divertito. Perché Maggy e i suoi autori sanno si divertono a replicare tutte le situazioni tipiche del genere, ma dimostrand­o che possono evolversi in modo diverso: il picchiator­e mandato a rompere le ossa a Maggy diventa il suo fidanzato, la poliziotta che dovrebbe osteggiare il lavoro di una investigat­rice abusiva si rivela un’amica con cui discutere di uomini (poi ci sono sviluppi che però non si possono anticipare), l’anziano investigat­ore da cui comincia come segretaria non è un mentore ma un alcolizzat­o che guadagna meno di lei.

Anche se il tratto di Stéphane Oiry è morbido e mai spigoloso, il montaggio serrato di Lewis Trondheim, uno dei grandi del fumetto francese, e i dialoghi tipicament­e da noir, scarni, diretti, ironici costruisco­no qualcosa di molto lontano dalla parodia, o dalla variazione sul tema. Maggy Garrison ribalta le premesse del genere, ma riesce a rispettarn­e i canoni, non c’è Hollywood o Los Angeles, ma una Londra di periferia, un non-luogo dove Maggy cerca di costruirsi una vita, con la consapevol­ezza di non essere una di quelle eroine dei fumetti che hanno diritto a un lieto fine.

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