Il Fatto Quotidiano

O spiega o si ritira

- » MARCO TRAVAGLIO

Ieri, leggendo gli altri giornali (i tg Rai ormai fanno un altro mestiere, il più antico del mondo), abbiamo imparato una cosa nuova: la soffiata dell’allora premier Matteo Renzi che nel gennaio del 2015 avverte Carlo De Benedetti dell’imminente decreto sulle banche popolari, facendogli guadagnare in pochi giorni 600 mila euro in Borsa col minimo sforzo, è una notizietta da niente. Molto meno importante della posizione cangiante di Di Maio sull’euro (apertura del Corriere e titolo in prima pagina del Messaggero), delle avventure di Spelacchio (terzo titolo di prima pagina del Messaggero), dell’appello del Pd a Grasso per la Lombardia (apertura di Repubblica), del calendario dei processi a Marra e alla Raggi ( secondo editoriale di Sergio Rizzo su Repubblica) e della balla di Gentiloni sul record di occupati dal 1977 (apertura de La S ta mp a). Infatti il più grave scandalo che abbia coinvolto un leader politico ed ex premier italiano dai tempi di B. non compare sulla prima pagina di Re

pubblicae neppure nelle restanti 51 del quotidiano edito da De Benedetti. Invece, sulla prima del Corriere, occupa mezzo catenaccio sotto il titolo su Di Maio e l’euro (“Banche, la telefonata di De Benedetti su Renzi”, e chi ci capisce è bravo). Sulla prima del Messaggero, un titolino altrettant­o enigmistic­o: “La telefonata: De Benedetti, Renzi e il caso delle Popolari”. Qualche indizio in più lo fornisce il microtitol­o de La Stampa: “De Benedetti: ‘Ho sentito Renzi. Il decreto sulle Popolari passerà’”. E noi, con la nostra prima pagina, chissà che ci credevamo: non è successo nulla.

Poi abbiamo sentito Renzi, intervista­to da Massimo Giannini su Radio Capital. Domanda: è vero che avvertì De Benedetti dell’imminente decreto sulle banche popolari? Risposta, si fa per dire: “Lo chieda a De Benedetti visto che è il suo editore… C’era un’agenzia sul fatto che avremmo fatto quella riforma”. La prima frase è ben oltre i confini della realtà, in bocca a un leader che ha fatto il premier per quattro anni e ora si candida a rifarlo, dunque dovrebbe chiarire ogni suo comportame­nto ai cittadini-elettori; tantopiù che a De Benedetti non c’è nulla da chiedere, visto che la sua versione l’ha già fornita in diretta nella telefonata del 16 gennaio 2015 con cui annunciò al suo broker che il decreto sulle Popolari “passa, ho parlato con Renzi ieri, passa”, entro “una o due settimane”. Ora è Renzi che dovrebbe dire a che titolo incontrò l’Ingegnere il 15 gennaio, cinque giorni prima il varo del decreto, e come si permise di passargli informazio­ni così riservate, venendo meno ai suo doveri di riserbo e di imparziali­tà.

La seconda frase (“C’era un’agenzia sul fatto che avremmo fatto quella riforma”) è una menzogna. L’unico lancio Ansa sul tema, precedente l’incontro Renzi-De Benedetti, è del 3 gennaio, e non dice né che il governo farà un decreto, né che è questione di giorni. Anzi, tutto il contrario: “Il governo starebbe studiando di lanciare in primavera la riforma del settore – un intervento legislativ­o richiesto da decenni ma mai varato – di fatto per trasformar­e le banche popolari in spa”. Dunque dalle agenzie De Benedetti non saprebbe nulla di ciò che invece comunica con grande certezza e con molti dettagli ( decreto, tempistica ravvicinat­a e abolizione del voto capitario) il 16 gennaio al suo broker Gianluca Bolengo: “Il governo farà un provvedime­nto sulle Popolari per tagliare la storia del voto capitario nei prossimi mesi... una o due settimane”. Anche Bolengo sa del decreto: “Se passa un decreto fatto bene (le azioni delle popolari in Borsa, ndr) salgono”. Infatti l’Ingegnere gli dà mandato di fare incetta di azioni prima che il decreto venga varato (quattro giorni dopo, il 20 gennaio) e annunciato (la sera del 16). E si mette in tasca 600 mila euro. Lo stesso fanno altri pochissimi fortunati destinatar­i delle soffiate governativ­e, accumuland­o un totale di 10 milioni. Il che non sarebbe avvenuto se la riforma, com’era normale, avesse seguito l’iter ordinario del disegno di legge (non c’era alcuna necessità né urgenza, per una norma attesa da decenni), con un ampio dibattito parlamenta­re che avrebbe richiesto tempi lunghi e posto tutti gli investitor­i sullo stesso piano. Ma, senza decreto, De Benedetti e gli altri pochi raider avvisati non avrebbero potuto fare il colpaccio.

La prova è proprio in un’A nsadiramat­a alle 17.58 del 16 gennaio, a Borse chiuse, quando De Benedetti ha già acquisito le azioni delle popolari tramite Bolengo. Il 16 gennaio, sempre l’Ansa, alle 17.58: “In arrivo norme per riformare la governance delle banche popolari e del credito cooperativ­o (Bcc) e favorire un consolidam­ento del settore. Secondo quanto si apprende da diverse fonti le misure sarebbero contenute nel provvedime­nto ‘Investment compact’ che il governo varerà la prossima settimana”. L’unico lancio Ansacon le informazio­ni precise sul provvedime­nto e la sua tempistica, dunque, è ininfluent­e ai fini dell’affarone dell’Ingegnere, che sa già tutto dal giorno prima. Il che aumenta la rilevanza della soffiata di Renzi che gli ha permesso di mettere a segno la speculazio­ne nell’ultima finestra utile prima che inizino a circolare le voci sulla riforma. Per speculare su titoli quotati, è decisivo avere informazio­ni privilegia­te prima degli altri. Se viene annunciato un decreto su materie finanziari­e, cioè con un impatto sui prezzi dei titoli, è realistico aspettarsi che il provvedime­nto verrà convertito in legge dal Parlamento così come è stato scritto dal governo, altrimenti si creerebbe il caos. Quindi la fase rilevante ai fini dell’investimen­to è quella dell’annuncio del decreto: è quello il momento di comprare i titoli delle banche che ne saranno avvantaggi­ate e vendere quelli degli istituti che ne saranno penalizzat­i.

Se invece fosse stato annunciato un ddl, capire quali titoli comprare sarebbe stato molto più complicato: ogni emendament­o in Parlamento avrebbe potuto creare o cancellare opportunit­à di investimen­to, rendendo molto più rischioso scommetter­e in anticipo. Il finanziere scommette solo se sa che le informazio­ni avute all’inizio dell’iter legislativ­o saranno ancora valide alla fine, così può stabilire subito cosa e quanto comprare: proprio il caso del decreto Renzi, che entrando in vigore subito non avrebbe rischiato modifiche successive fino alla conversion­e in legge. Ciò che conta per De Benedetti non è tanto sapere che ci sarà una riforma, ma che avverrà per decreto, con alle spalle tutto il peso politico del governo Renzi (allora fortissimo).

Ora, in tutto il mondo civile, questo scandalo porterebbe i protagonis­ti in tribunale (e i politici alle dimissioni). Invece siamo in Italia, anzi a Roma, do- ve la Procura ha trovato il modo di non indagare né intercetta­re Renzi e De Benedetti, e di inquisire il solo Bolengo (perché è l’unico a dire “decreto”), per poi chiedere subito di archiviarl­o perché – scrive il pm, molto spiritoso, al gip – “utilizzava in modo del tutto generico e, palesement­e, senza connotazio­ne tecnica, la parola ‘ d ec re to ’” . Cioè diceva decreto, ma non voleva dire decreto. Fantastico. Dunque, salvo che il gup che cova la richiesta di archiviazi­one da due anni, senza dire né sì né no, non la respinga o disponga l’imputazion­e coatta degli altri due, l’inchiesta finirà a tarallucci e vino. Dopodiché bisognerà riscrivere il Codice penale e tutti i dizionari alla voce insider trading: se non è insider questo, non si sa più cosa lo sia. Ma qui c’è una questione politica ed etica grossa come una casa: cosa intende Renzi per “governare”? Rendere un servizio a tutti i cittadini in nome dell’ interesse generale, o fare serviziett­i a po- chi compari in cambio di favori o di buona stampa? Finora si pensava che, nel giro renziano, questo concetto familistic­o e privatisti­co dello Stato fosse un’esclusiva di babbo Tiziano e di Boschi padre e figlia. Ora si sa che è anche suo. Chissà se nel Pd e nel centrosini­stra c’è ancora qualcuno dotato di memoria e coraggio. Memoria per ricordargl­i la questione morale di Berlinguer. Coraggio per spiegargli con parole semplici che deve andare a casa.

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