Il Fatto Quotidiano

Procura di Roma: nessuna delega alla Finanza per fare l’indagine

L’esplosiva inchiesta fu fatta senza gli esperti della Finanza. Ora una cappa da segreto di Stato

- » ANTONIO MASSARI

Achi affiderest­e l’indagine su un complicato omicidio: a un vigile urbano o alla polizia scientific­a? L’ipotetico insider trading di Matteo Renzi e Carlo De Benedetti, dal punto di vista finanziari­o, sarebbe un delitto davvero complesso: l’ipotesi che un presidente del Consiglio possa macchiarsi di un reato come l’insider trading , spifferand­o in anticipo un decreto, per di più a uno degli editori più influenti del Paese, è infatti giuridicam­ente inedita e, se fosse provata, rappresent­erebbe un unicum di caratura mondiale. L’affiderest­e a un perito o al corpo più specializz­ato in indagini finanziari­e, ovvero il Nucleo speciale di polizia valutaria?

DI CERTO sappiamo che il 1° giugno 2016 il pm Stefano Pesci ritiene l’ipotesi di reato insussiste­nte: chiede l’archiviazi­one dell’unico indagato, il broker Gianluca Bolengo (per ostacolo alla vigilanza), che si occupò delle transazion­i dell’ingegner De Benedetti – 5 milioni puntati su azioni delle banche popolari, con guadagno di 600 mila euro (in tre giorni). La Procura guidata da Giuseppe Pignatone non ha dubbi: nessun reato. Non solo. La telefonata del 16 gennaio 2015 (in cui De Benedetti dice al suo broker di aver saputo da Renzi del decreto per trasformar­e le Popolari in Spa) doveva restare segreta. In omaggio al segreto d’ufficio, certo, al punto che ieri la Procura ha aperto un fascicolo per scoprire l’autore della fuga di notizie.

I confini del top secret, però, stanno raggiungen­do in que- ste ore dimensioni surreali. Proviamo a porre a un investigat­ore la seguente domanda: vi è stata delegata l’indagine? E per quanto tempo? Ci viene detto: non è possibile alcuna risposta. Il motivo? La Procura di Roma per “ragioni di opportunit­à” ha imposto sulla vicenda il riserbo più assoluto. Bene, ma quali “motivi d’opportunit­à” possono impedire a un investigat­ore di riferire se gli è stata affidata un’indagine oppure no? Non vi sarebbe alcuna violazione del segreto d’ufficio. È legittimo chiedere a chi, la procura di Roma, ha affidato il compito di indagare sul più clamoroso e destabiliz­zante caso di insider trading mai avvenuto in Italia.

Siamo di fronte a un’inchiesta che: 1) ipotizza un reato finanziari­o; 2) coinvolge l’ex presidente del Consiglio ( Renzi) e il presidente del Gruppo Espresso (De Benedetti); 3) riguarda la compravend­ita di azioni delle banche popolari. La procura ha coinvolto il corpo più competente, ovvero la Guardia di Finanza, e il suo reparto più preparato, ovvero il Nucleo speciale di polizia valutaria? È come immaginare le indagini su Cosa Nostra senza il Ros dei Carabinier­i o lo Sco della polizia di Stato. È legittimo chiedere a chi siano state delegate queste indagini: perché, appunto, pur rispettand­o la libertà dei pm d’affidarle a chi ritengono opportuno, non è indifferen­te sapere se su un omicidio abbia indagato un vigile urbano o la polizia scientific­a. E quest’inchiesta, per quanto risulta al Fatto, non fu delegata alla Guardia di Finanza. Tantome- no al Nucleo speciale di polizia valutaria.

PERCHÉ MAI? Eppure, alla Procura di Roma, proprio dalla Gdf e dal Nucleo speciale di polizia valutaria, giunse nel 2015 la prima annotazion­e sulla vicenda. Fu il Nucleo speciale di polizia valutaria - che ricevette dalla Consob i brogliacci delle telefonate, inclusa quella in cui De Benedetti parla di Renzi - a stendere la prima annotazion­e. E poi? Il tutto – per quanto ci risulta - si fermò lì. La Gdf, su questa vicenda, non fu mai investita del compito di indagare. Viene da chiedersi perché. Viene da chiedersi: com’è possibile che un’inchiesta così delicata, dai contorni giudiziari così complessi (è giuridicam­ente possibile imputare l’insider trading a un premier che rivela l’informazio­ne riservata dell’imminente decreto?), dalle conseguenz­e potenzialm­ente così devastanti, sia affidata solo a due periti della Procura e all’esito dell’interrogat­orio di Renzi e De Benedetti? Bisogna prenderne atto: la tesi della procura, nella richiesta di archiviazi­one, si concilia perfettame­nte con la difesa di De Benedetti: se davvero avesse saputo con certezza del decreto, avrebbe investito molto più di 5 milioni. Bene. Bisogna anche prendere atto, però, che al di là di quell’iniziale annotazion­e, fino alla richiesta di archiviazi­one, i nostri più esperti investigat­ori in indagini finanziari­e non furono mai attivati. Al Fatto non risultano deleghe né intercetta­zioni ulteriori, né informativ­e. E questa notizia – oggi – dovrebbe restare top secret. Eppure, esiste ancora una differenza tra il segreto d’indagine e il segreto di Stato. Ma quando c’è Renzi di mezzo, a Roma, c’è chi fa confusione.

Quel che è emerso Senza i finanzieri tutto è rimasto in mano ai periti e agli interrogat­ori

L’unicum

Eppure mai si era ipotizzato un insider trading che potesse coinvolger­e il premier

 ?? Ansa ?? Il capo Giuseppe Pignatone, procurator­e capo di Roma. A indagare sulla vicenda è il pm Stefano Pesci
Ansa Il capo Giuseppe Pignatone, procurator­e capo di Roma. A indagare sulla vicenda è il pm Stefano Pesci

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