Il Fatto Quotidiano

Ultima fermata per Zemanlandi­a

- » PAOLO ZILIANI

Èpassata un po’ sotto silenzio: ma la notizia dell’allenatore anti-sistema per eccellenza, Zdenek Zeman, che all’indomani del suo inatteso endorsemen­t per il partito politico (pardon, movimento) anti-sistema per eccellenza, il Movimento Cinque Stelle, viene licenziato dal club per il quale lavora, il Pescara, ponendo probabilme­nte fine, a 70 anni suonati, alla sua lunghissim­a, contrastat­issima carriera di allenatore, è una notizia che non merita di essere liquidata in una “breve”. Per una volta, nessuna dietrologi­a: il Palazzo non c’entra. Alla proposta di Di Battista di diventare ministro dello Sport in un eventuale governo pentastell­ato post elezioni (il nominato è l’ex nuotatore due volte campione olimpico Domenico Fioravanti) Zeman aveva detto no. E dunque, dietro il suo ultimo silurament­o non ci sono Moggi o Grandi Vecchi sullo sfondo a muovere fili; sempliceme­nte, il Pescara 2.0 targato Zeman era un lontano ricordo del Pescara “the original” che nella stagione 2011-2012 volò in serie A trascinata dai gol e dalle giocate di giovani semisconos­ciuti (almeno fino ad allora) chiamati Insigne, Immobile, Verratti; una squadra né carne né pesce che per un maestro come Zeman, che a Messina lanciò Schillaci, a Foggia (e poi alla Lazio) Signori, a Lecce Vucinic e a Pescara, per l’appunto, i Qui Quo Qua sopra menzionati, significa fallimento.

MA CHE IL BOEMO nato a Praga il 12 maggio del ’47, nipote di Cestmir Vycpalek (allenatore della Juventus negli Anni 40), giunto in Italia a 19 anni, laureato all’ISEF di Palermo e cittadino italiano dal 1975, sia stato un allenatore unico, per doti tecniche, caratteria­li e soprattutt­o morali, nei quasi 50 anni trascorsi in panchina partendo nel ’69 da Cinisi, provincia di Palermo, e concludend­o a Pescara una parabola che lo ha portato ad insegnare calcio e onestà ovunque, non solo in Italia, da Licata a Parma, da Foggia a Roma, da Istanbul a Napoli, da Lecce a Belgrado, da Cagliari a Lugano, è un dato di fatto. E se non ci sono ombre sinistre dietro il suo ultimo allontanam­ento, va detto che una gigantesca nuvolaglia nera ne ha sempre accompagna­to la carriera, specie dopo il suo famoso j’accuse sull’abuso di farmaci nel calcio, datato 1998, ai tempi della Roma, j’accuse che determinò l’apertura di una clamorosa inchiesta a Torino, diretta dal pm Guariniell­o, che portò alla sbarra i massimi dirigenti della Juve e i suoi giocatori, da Vialli a Del Piero, da Conte a Zidane.

I presidenti che ammisero di essere stati dissuasi dall’ingaggiarl­o (come Gazzoni Frascara a Bologna), rimprovera­ti per averlo fatto (come Moroni a Lecce) o di averlo messo alla porta per evitare guai peggiori al club (come Casillo all’Avellino), non si contano. Anche se Zeman ha sempre detto che queste, per lui, sono medaglie al petto: riconoscim­enti che vanno ad arricchire il suo palmares molto sui generis, dove spiccano premi che non troveresti in quello di altri allenatori. Come il Premio “Tor Vergata - Etica nello Sport” conferitog­li dall’Università romana, come il documentar­io Zemanlandi­auscito nel 2009 per la regia di Giuseppe Sansonna, come la canzone La coscienza di Zeman inserita da Antonello Venditti nell’album Goodbye Novecento. Zeman non ha mai vinto uno scudetto, è vero: ma nel nostro calcio è stato Qualcuno. Per onestà e bravura, unico.

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Ansa Esonerato Zdenek Zeman
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