Ultima fermata per Zemanlandia
Èpassata un po’ sotto silenzio: ma la notizia dell’allenatore anti-sistema per eccellenza, Zdenek Zeman, che all’indomani del suo inatteso endorsement per il partito politico (pardon, movimento) anti-sistema per eccellenza, il Movimento Cinque Stelle, viene licenziato dal club per il quale lavora, il Pescara, ponendo probabilmente fine, a 70 anni suonati, alla sua lunghissima, contrastatissima carriera di allenatore, è una notizia che non merita di essere liquidata in una “breve”. Per una volta, nessuna dietrologia: il Palazzo non c’entra. Alla proposta di Di Battista di diventare ministro dello Sport in un eventuale governo pentastellato post elezioni (il nominato è l’ex nuotatore due volte campione olimpico Domenico Fioravanti) Zeman aveva detto no. E dunque, dietro il suo ultimo siluramento non ci sono Moggi o Grandi Vecchi sullo sfondo a muovere fili; semplicemente, il Pescara 2.0 targato Zeman era un lontano ricordo del Pescara “the original” che nella stagione 2011-2012 volò in serie A trascinata dai gol e dalle giocate di giovani semisconosciuti (almeno fino ad allora) chiamati Insigne, Immobile, Verratti; una squadra né carne né pesce che per un maestro come Zeman, che a Messina lanciò Schillaci, a Foggia (e poi alla Lazio) Signori, a Lecce Vucinic e a Pescara, per l’appunto, i Qui Quo Qua sopra menzionati, significa fallimento.
MA CHE IL BOEMO nato a Praga il 12 maggio del ’47, nipote di Cestmir Vycpalek (allenatore della Juventus negli Anni 40), giunto in Italia a 19 anni, laureato all’ISEF di Palermo e cittadino italiano dal 1975, sia stato un allenatore unico, per doti tecniche, caratteriali e soprattutto morali, nei quasi 50 anni trascorsi in panchina partendo nel ’69 da Cinisi, provincia di Palermo, e concludendo a Pescara una parabola che lo ha portato ad insegnare calcio e onestà ovunque, non solo in Italia, da Licata a Parma, da Foggia a Roma, da Istanbul a Napoli, da Lecce a Belgrado, da Cagliari a Lugano, è un dato di fatto. E se non ci sono ombre sinistre dietro il suo ultimo allontanamento, va detto che una gigantesca nuvolaglia nera ne ha sempre accompagnato la carriera, specie dopo il suo famoso j’accuse sull’abuso di farmaci nel calcio, datato 1998, ai tempi della Roma, j’accuse che determinò l’apertura di una clamorosa inchiesta a Torino, diretta dal pm Guariniello, che portò alla sbarra i massimi dirigenti della Juve e i suoi giocatori, da Vialli a Del Piero, da Conte a Zidane.
I presidenti che ammisero di essere stati dissuasi dall’ingaggiarlo (come Gazzoni Frascara a Bologna), rimproverati per averlo fatto (come Moroni a Lecce) o di averlo messo alla porta per evitare guai peggiori al club (come Casillo all’Avellino), non si contano. Anche se Zeman ha sempre detto che queste, per lui, sono medaglie al petto: riconoscimenti che vanno ad arricchire il suo palmares molto sui generis, dove spiccano premi che non troveresti in quello di altri allenatori. Come il Premio “Tor Vergata - Etica nello Sport” conferitogli dall’Università romana, come il documentario Zemanlandiauscito nel 2009 per la regia di Giuseppe Sansonna, come la canzone La coscienza di Zeman inserita da Antonello Venditti nell’album Goodbye Novecento. Zeman non ha mai vinto uno scudetto, è vero: ma nel nostro calcio è stato Qualcuno. Per onestà e bravura, unico.