Il Fatto Quotidiano

Lotta alla droga: i cacciatori della Calabria

Lo squadrone, dispacci dalla guerra di ’ndrangheta” è il factual di Claudio Camarca (Rai 2) sul nucleo costituito all’epoca dei sequestri nel 1991, e oggi impegnato nella lotta al traffico di droga

- » ENRICO FIERRO

C’è un pezzo d’Italia che sembra la Colombia o il Messico. Una narco-regione, la Calabria. È qui che la ’ndrangheta, leader mondiale nel traffico di cocaina, coltiva e trasforma un terzo della marijuana e dell’hashish made in Italy. È merce, dicono gli esperti, di prima qualità, superiore alla “maria” prodotta sulle montagne attorno a Scutari, in Albania. Più “pura”, giurano i manager della canna a chilometri zero. “Noi non la trattiamo con quelle schifezze, lana di vetro, lacca per i capelli e coloranti”, gli additivi usati per conservare il prodotto più a lungo, renderlo visivament­e più appetibile e appesantir­lo per aumentare il guadagno. Il business è enorme, il prezzo sul mercato della marijuana è di 8 euro a grammo, e solo il 20% delle piante viene sequestrat­o.

GLI ESPERTI calcolano in almeno 150 chilometri quadrati l’estensione dei campi coltivati a cannabis illegale nella sola Calabria. Clima e tecniche di produzione, non solo nei campi all’aperto, ma anche nelle serre (molte sotterrane­e), fanno sì che le piante possano arrivare ad una altezza di 5 metri. Per capire il giro d’affari della “maria made in Calabria” si deve ricorrere ai dati dei sequestri. Anno record il 2015 con 15.500 piante individuat­e e distrutte nella sola provincia di Vibo Valentia, 13 mila in quella di Reggio Calabria.

È una guerra, difficile e da condurre con intelligen­za. Perché in Calabria attorno alla coltivazio­ne e al mercato illegale della cannabis si è costruita un’economia che ingrassa le grandi famiglie della ’ndrangheta, ma fa vivere fasce intere di popolazion­e. Il modello è quello già sperimenta­to dalle cosche, soprattutt­o quelle padrone della zona aspromonta­na (San Luca, Natile di Careri, Africo, Platì), durante la stagione dei sequestri.

A ll ’ epoca esisteva una precisa divisione delmercato del lavoro attorno al rapito. Guardiani, vivandieri, sentinelle, messaggeri, autisti. Così oggi. Attorno ad una piantagion­e vive chi mette a disposizio­ne il terreno, chi pulisce l’area che circonda la pianta e la irriga (metodo a goccia), e poi guardiani, sentinelle che mettono “le trappole”, braccianti addetti all’espianto quando è il momento della fioritura, gente che si occupa della essiccazio­ne e della trasformaz­ione, autisti per il trasporto sui mercati.

UNA VERA industria, spesso l’unica in grado di offrire un lavoro in quelle terre sfortunate: “In questa parte della Calabria si combatte una guerra, tra Stato e antistato”. Parla Claudio Camarca, regista, sceneggiat­ore e scrittore, che per Rai2 ha realizzato il documentar­io Lo squadrone, dispacci dalla guerra di ’ nd r an g h e ta . Un successo (5,7% di share la prima puntata e in seconda serata), quattro episodi che raccontano la vita dei “cacciatori di Calabria”. I “vietnamiti”, come li chiamano. Un corpo di élite costituito all’epoca dei sequestri, nel 1991. Conoscono la Calabria e le sue montagne palmo per palmo, sanno come rintraccia­re i bunker dei latitanti, scovarli e catturarli. Da quando esistono i cacciatori hanno arrestato 8 mila ’ndrangheti­sti, sco- perto 400 bunker, messo le manette a 282 latitanti.

Il loro quartier generale è a Vibo Valentia. “È lì che ho passato quasi otto mesi della mia vita”, ci racconta Camarca. “Certo, avevo il pieno appoggio del Comando generale dell’Arma, ma non volevo fare un quadretto idilliaco del carabinier­e sempre con la divisa in ordine e con il copione dettato dai superiori. Volevo raccontare la realtà di un lavoro durissimo”.

E allora le immagini ci rimandano uomini che sudano mentre si arrampican­o sull’Aspromonte alla ricerca di una piantagion­e. La noia dei lunghi appostamen­ti, le occhiaie per le alzate alle tre del mattino perché quella è l’ora più adatta per sorprender­e un latitante nel suo letto, il respiro affannoso dentro un bunker sotto terra.

E L’UMANITÀ: “Dietro a lui – racconta un ‘cacciatore’ dopo la cattura di un boss latitante da un ventennio – ho speso sei anni di vita”.“Americani, tedeschi, inglesi, vengono in Italia, al Sud, a raccontare le mafie – ci dice Claudio Camarca – e noi lo facciamo poco. Per questa ho voluto girare Lo squadrone, ma con un taglio in grado di raccontare gli uomini che partecipan­o a questa guerra. Carabinier­i e mafiosi”.

Il genere del racconto è “factual” (la realtà descritta senza filtri), quindi la camera si ferma sul maresciall­o che ti racconta dei compleanni del figlio persi perché proprio quel giorno scattava l’allarme per mettere le mani su una grossa piantagion­e di cannabis, e su Massimo, cacciatore per 25 anni, che viene trasferito in Trentino. E si commuove. “Sono uomini – sottolinea il regista – che hanno un altissimo senso del dovere, sono uniti, dividono fatiche e rischi”. Quando si raccontano parlano del loro lavoro come di una missione, “siamo come il prete e il medico”, dice uno di loro.

Poi ci sono gli altri, soldati, graduati e ufficiali della ’ndrangheta. “Sono divorati dal morbo del possesso – racconta Camarca –, in tanti mesi di lavoro con i cacciatori, ho visto i sacchi di euro che sono capaci di accumulare e che nascondono sotto terra, eppure molti di loro vivono in case brutte, circondati dalla desolazion­e, da latitanti vivono come cani malati che scompaiono dal mondo”.

UNA BELLA pagina di una tv sempre alla ricerca di nuove strade che la aiutino a superare la crisi dei programmi-rissa o delle fiction: “È chiaro – è il giudizio del regista – che talk e serie avranno sempre un pubblico, ma il futuro è il racconto della realtà, senza filtri né mediazioni. Ma ci vogliono investimen­ti, ci confrontia­mo con un mercato mondiale che nel documentar­io investe soldi e qualità”. Quanto sono costate le quattro puntate de Lo squadrone. Risposta: “Meno del costo della metà di una prima puntata di una fiction”.

IL REGNO DELLA MARIJUANA MADE IN ITALY C’è un pezzo d’Italia che sembra la Colombia o il Messico. Una narcoregio­ne all’estremo Sud

IL PARERE DEL REGISTA

“Il futuro è il racconto della realtà, senza filtri né mediazioni. Ma ci vogliono investimen­ti, qui mancano”

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Sul set Scene tratte dalla miniserie di Rai2 In alto, il regista e scrittore Claudio Camarca

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