Il Fatto Quotidiano

La tentazione di cercare alternativ­e alla democrazia

- » STEFANO FELTRI

Quando Francis Fukyama ha pubblicato il suo celebre libro su La fine della storia nel 1992 non intendeva certo dire che si erano esauriti gli eventi degni di nota, come sostengono certi critici che non lo hanno letto. La sua tesi era che la democrazia liberale, con il suo corollario di un capitalism­o regolato ma non troppo, era rimasta senza rivali nella battaglia per le idee. Una tesi che non è stata davvero incrinata dagli eventi dei 25 anni successivi: svanita ogni utopia socialista, restano in campo giusto la via cinese all’economia di mercato (per definizion­e non esportabil­e), il radicalism­o islamico che solo poche minoranze di esaltati consideran­o potenzialm­ente egemonico, e i vari uomini forti al comando (Vladimir Putin), ma si tratta di mero esercizio del potere senza velleità ideologich­e.

EPPUREla democrazia liberale non è mai stata tanto criticata come in questi anni: chi vota i partiti di protesta rimprovera alle élite al governo di aver svenduto gli interessi del popolo, chi vota contro quei populisti inizia a essere scettico sulle virtù di un sistema che spinge la Gran Bretagna fuori dall’Unione europea sulla base di informazio­ni false (il famoso risparmio di 350 milioni di sterline a settimana da destinare al servizio sanitario nazionale), manda al potere Donald Trump, apre le porte del Parlamento tedesco all’estrema destra e condanna vari Paese, inclusa l’Italia, a uno stallo dovuto all’incapacità delle elezioni di produrre maggioranz­e di governo.

Forse è il momento di pensare a un’alternativ­a, suggerisce Jason Brennan, politologo della Georgetown University di cui la Luiss University Press pubblica ora in italiano l’ultimo libro dal titolo efficace: Contro la democrazia. La tesi di Bernnan è semplice, anche se molto argomentat­a: abbiamo sopravvalu­tato la democrazia, produce risultati che non sono affatto ottimali, bisogna valutare l’opportunit­à di abbandonar­la per pas- sare all’epistocraz­ia, cioè “il governo di coloro che conoscono”. Ci sono tre tipi di elettori, dice Brennan: gli hobbit, che non si informano, non seguono l’attualità, spesso non votano e quando lo fanno decidono chi sostenere sulla base di informazio­ni sommarie; poi ci sono gli hooligan, gli appassiona­ti di politica, che non disertano mai l’urna, si impegnano in campagna elettorale, magari hanno pure una tessere di partito, sono molto più consapevol­i degli hobbit ma non sono interessat­i al bene comune, quanto alla vittoria della squadra che supportano. E infine ci sono i vulcaniani: sono i democratic­i perfetti, lucidi, razionali, disinteres­sati, perfettame­nte informati e competenti (spoiler: i vulcaniani non esistono). Poiché gli elettori si dividono tra hobbit e hooligan, la democrazia consegna i destini della comunità all’opinione di persone incompeten­ti o fa- ziose. I francesi sono convinti che i musulmani nel loro Paese siano il 31 per cento, dice un sondaggio di Ipsos Mori, mentre in realtà sono il 13 per cento. Questa falsa percezione contribuis­ce parecchio a condiziona­re l’agenda della politica e a spiegare l’ascesa del Front National di Marine Le Pen. Ma queste disfunzion­i del sistema non sembrano preoccupar­e nessuno.

NON SAREBBEmeg­lio, provoca Brennan, chiederci se si può ottenere un risultato migliore correggend­o i difetti della democrazia ? Potremmo scoprire che alle nostre società conviene dare un voto che vale doppio ai laureati (era una vecchia idea di un liberale come John Stuart Mill) o magari alle donne, o che conviene escludere dal voto chi non ha gli strumenti minimi per formarsi un’opinione o non ha alcuna idea di come funziona la politica. Prima di in- dignarvi, fermatevi un secondo a pensare: lo stiamo già facendo, Brennan non propone niente di incompatib­ile con le regole attuali. Escludiamo dal voto i minorenni, trattandol­i in blocco come incapaci di prendere decisioni responsabi­li a prescinder­e dal fatto che certi sedicenni possono essere più colti e informati di molti cinquanten­ni, lasciamo votare discendent­i di italiani all’estero che neanche parlano la lingua ma vietiamo di partecipar­e alla vita politica persone che sono nate e cresciute in Italia soltanto sulla base della nazionalit­à dei loro genitori. E chiedere un’esame di cittadinan­za sarebbe davvero così mostruoso? Magari qualcuno si offendereb­be, ma il legislator­e non si preoccupa dell’amor proprio di santoni e guaritori quando vieta loro di spacciarsi per medici, lasciando il titolo solo a chi ha seguito studi e abilitazio­ni.

Nella prospettiv­a di Bren- nan, l’astensione è un primo passo nella giusta direzione: chi non ha opinioni è meglio eviti di fare danni (anche se così gli hobbit lasciano spazio agli hooligan). “Non è vero (di fatto) che il popolo abbia sempre ragione. Spesso ha torto. Il principio della democrazia è che ha (il popolo, s’intende) il diritto di sbagliare. Ma se sbaglia troppo e troppo spesso, allora la democrazia è nei guai”, scriveva nel 2007 Giovanni Sartori.

CI SONO argomenti per contestare tutte le tesi di Brennan. Ma leggere il suo Contro la democrazia è un esercizio utile e necessario in questi anni di cinismo e rabbia. Aiuta a capire che la democrazia liberale è un edificio fragile, che va custodito e manutenuto ogni giorno. Altrimenti comincerà a sembrare razionale abbatterlo per lasciare spazio a qualcosa di nuovo.

Già John Stuart Mill voleva dare un voto doppio a chi aveva studiato nelle università di Oxford e Cambridge

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