Il Fatto Quotidiano

“Ma se salgono sulle nostri navi sono in Italia”

“A norma del trattato di Dublino il nostro è il Paese di prima accoglienz­a”

- » STEFANO CASELLI

“Per

cambiare le regole ci sono i tavoli diplomatic­i. Intervenir­e su un’operazione di soccorso già avviata è assurdo e contrario a ogni prassi”. Vittorio Alessandro, Contrammir­aglio in congedo, coordinato­re nel 2011 della crisi di Lampedusa, così commenta la vicenda Aquarius. Ammiraglio, cosa prevedono i trattati quando una nave raccoglie naufraghi?

La prassi è universale. Esiste l’obbligo di raccoglier­e e portare al sicuro, nel più breve tempo possibile, le persone. Nel caso specifico siamo di fronte a un numero consistent­e di persone a bordo di un’imbarcazio­ne che ne pote- va trasportar­e meno. Un evidente surplus di rischio che richiedeva risposte rapide. Nel caso Aquarius la rapidità non sembra essere stata prioritari­a…

No. Il problema non è dove la nave attraccher­à, il problema sono i quattro giorni di navi- gazione in più. Il soccorso, per caratteris­tiche anche tecniche, deve ispirarsi a criteri di efficacia e prontezza. Con l’Aquarius, invece, si è scritta una pagina nuova, illogica. Alzare il tiro con un'operazione aperta è assurdo, in gioco c’è la vita delle persone.

Ci sono anche questioni giuridiche? Una nave militare italiana è suolo italiano.

Sì, chi fa il trasbordo si trova su suolo italiano.

E però sarà consegnato a un altro Paese… L’incondizio­nato impegno del governo spagnolo dovrebbe essere scongiurar­e eventuali obiezioni, semmai qualcuno ne porrà. Però…

Però?

In base ai Trattati di Dublino qualcuno potrebbe far valere il principio del Paese di prima accoglienz­a sulla base del trasbordo. Anche se non è stato sbarcato in un porto.

Uno Stato può chiudere i porti?

No. Non può per le merci, figuriamoc­i per le persone, a patto che il porto sia in condizioni di assoluta sicurezza. Non vedo quale fosse l’ostacolo. Non c’erano problemi di ordine pubblico né di altro genere. C’era un problema di accoglienz­a, quello sì. Non stiamo parlando di un carico di patate, ma di persone. Eppure la Convenzion­e Onu parla anche di “violazione delle leggi di immigrazio­ne vigenti nello Stato”.

Vero, ma qui si parla di viola- zione di leggi, non di semplice immigrazio­ne. Sarebbe interessan­te leggere le motivazion­i del decreto interminis­teriale di chiusura dei porti, ma non se ne trova traccia... Lei ha coordinato la crisi di Lampedusa del 2011. Cosa pensa quando sente dire “è finita la pacchia”?

La pacchia semmai è di chi organizza attività illecite intorno alle migrazioni, non certo di chi rischia la vita. Andare avanti a slogan è inutile prima che stupido.

Non tutti – si dice – fuggono da fame e guerre… Distinzion­i senza senso. Nel 2011 raccogliev­amo naufraghi in fuga dalla Tunisia: ragazzi senza lavoro, sostanzial­mente disperati. Si dice “aiutiamoli a casa loro”, ma prima dovremmo capire cosa sia “casa loro”. Il soccorso in mare non è che un tampone e sicurament­e non basta. E le risposte, prima che i governi, le deve dare l’umanità.

Il soccorso in mare deve essere rapido Alzare il tiro con un’operazione aperta è assurdo, in gioco c’è la vita delle persone

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MarinaVitt­orio Alessandro

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