Il Fatto Quotidiano

“Il fisico mi aiuta E con Indiana Jones che figura”

LUCA ARGENTERO Dalla laurea in Economia al cinema impegnato: è in sala con “Copperman”

- » ALESSANDRO FERRUCCI

Tolto il colore dei capelli (il principe azzurro è sempre biondo), Luca Argentero è un portatore sano di tutti gli stereotipi fiabeschi e di tutte le potenziali aspettativ­e di una madre rispetto a un figlio maschio: è alto, spalle quadrate da nuotatore consumato, conosce il congiuntiv­o e sa leggere i bilanci societari, non è per niente timido ma neanche sfrontato, sicuro di sé senza voler mettere soggezione. Insomma, sa quello che vuole e lo persegue con metodo e disciplina quasi militari. Però fuma, molto, e non è per atteggiame­nto o ruolo, è vizio, e il “neo” lo rende quasi umano. “In questi giorni giro molto per promuovere Co pp erman: a questo film tengo veramente, ed è la prima volta che mi riguardo e penso ‘va bene così’. Non cambierei nulla della mia interpreta­zione”. Nel film diretto da Eros Puglielli interpreta Anselmo: bambino speciale prima, adulto speciale poi, dove il “cerchio” è l’unica forma di rassicuraz­ione (per lui l’oblò della lavatrice è il massimo), l’i ng e n ui t à non è una deminutio ma una differente chiave per leggere e affrontare la realtà; aiutare il prossimo una necessaria risposta. E Argentero non è soltanto credibile, è proprio bravo.

Già nel 2010 la Mancuso l’ha inserita tra i migliori attori, nonostante non abbia frequentat­o l’accademia.

Davvero? Non lo sapevo, sono lusingato. Comunque un giorno un professore mi disse: “Ci sono ottimi studenti ma pessimi profession­isti”. Non è scontato il passaggio dalla teoria alla pratica, e la maggior parte delle profession­i, per me, si apprende strada facendo.

Ha studiato Economia.

E subito dopo, fondamenta­lmente, non sai fare nulla. Si ricorda qualcosa di allora?

Sono fortunato: ho amato e amo studiare, non mi cimentavo solo per appiccicar­e delle nozioni e poi dimenticar­le.

Applica ancora qualcosa? Nella misura in cui sono

Ho messo subito i miei paletti: ‘Non ho dubbi su due cose: la mia tifoseria calcistica e l’eterosessu­alità’

CON LELE MORA

l’imprendito­re di me stesso, poi una laurea ti serve tutti i giorni per saper parlare, capire qual è il metodo giusto per approfondi­re; se poi uno ha affrontato un manuale di diritto privato da 1.000 pagine non si spaventa davanti a 40 fogli da portare in scena.

All’inizio si sentiva in difficoltà per non aver frequentat­o l’accademia? Per i primi ruoli non sono stato scelto grazie alla mia preparazio­ne, ma per altre qualità; quando ho parlato con il produttore di Carabinier­i (fiction), gli dissi: “Siete sicuri di volermi? Non sono un attore”.

Risposta?

“Non ti preoccupar­e, il personaggi­o non è un personaggi­o: sei tu con la divisa da carabinier­e, quindi non ti chiediamo di entrare nei panni di qualcun altro”.

E ciò la rassicurav­a?

No, per niente: avevo comunque un timore reverenzia­le davanti alla macchina da presa, però non imbarazzo, la vedevo come amica, e per fortuna mi sono divertito.

Da subito.

Dal primo giorno ho pensato: “Questa è la mia vita”.

Il giudizio degli altri, lo sentiva?

Allora, sempre. Oggi forse no, e parte del pubblico non si ricorda neanche più la mia

Dietro al bancone scoprii di piacere alle donne Ora sono un 40enne equilibrat­o proprio perché ai tempi sfogai ogni mio istinto

IL LAVORO DA BARMAN

partecipaz­ione al Gran de

Fratello( terza edizione ), magari mi associano a un film e solo successiva­mente scoprono il mio punto di partenza. Mentre all’inizio?

Passavo la prima mezz’ora di una conversazi­one a convincere l’interlocut­ore che non ero un coglione; superata la mezz’ora si costruiva qualcosa. Sempre così?

Sempre! Si era allenato.

Preparato, mai arreso. Poi a prescinder­e da Carabinier­i la fortuna è stata quella di venir scelto da grandi autori come Comencini, Özpetek e Placido: un certificat­o di garanzia assoluto per tutti gli

addetti ai lavori, Sul set bisogna saper rubare dagli altri?

E non solo a colleghi-attori o registi, ma anche all’operatore di macchina. Il mio è un mestiere molto complesso che prevede una serie di competenze tecniche, per questo ho sempre rotto le palle a tutti, in particolar­e all’inizio, e anni dopo mi sono cimentato con la produzione. Ha subito recitato con i grandi.

Ed è come giocare a tennis: se sul campo ti confronti con quelli forti, allora capisci i loro colpi, le astuzie, come si affronta un match di livello; sul set della Comencini stavo accanto a Golino, Zinga-

retti, Battiston. Con Özpetek...

Lì c’erano Accorsi, Ferrari, Buy, Fantastich­ini, Timi, Angiolini e Favino: ti siedi al tavolo con loro per le letture, ed è già una master class assurda; se sei un po’ spugna questo lavoro lo assimili. Porta mai a casa il ruolo?

In Copperman è successo: la mia compagna è stata molto paziente, durante le riprese non era piacevole neanche andare a cena con me. O forse sì, non lo so... Perché?

Troppo immerso in quella realtà: per entrare in Anselmo è stato necessario cambiare il punto di vista. Esempio...

Per Anselmo il tondo è una

Oltre il “Grande Fratello” Per i primi ruoli non sono stato scelto grazie alla mia preparazio­ne. Un sogno? Scalare il Cervino con papà

figura fondamenta­le, catalizzat­rice di attenzione, è il bello, il suo rifugio: così, è capitato che a cena iniziavo a girare il caffè con il cucchiaino e non la smettevo. Con i Cinepanett­oni si evita questo pericolo.

Non ce n’è bisogno, anzi è utile arrivare sul set con una leggerezza totale, fresco e riposato per poterti divertire. Però il cinepanett­one è un genere a sé, è la farsa, e veder lavorare Christian De Sica è un insegnamen­to. Quanto è durato l’ef fetto Anselmo?

In realtà non è ancora terminato e ha confermato alcuni aspetti che avevo dentro, come quello di voler coccolare il mio bambino interiore: devi arrivare sul set e giocare con te stesso, e il mio lato da fanciullo è il migliore. È necessario.

Il mio è un lavoro dove continui a giocare con te stesso, con la tua voglia di sperimenta­re, di stare in mezzo agli altri. Non è un lavoro d’ufficio. I suoi ideali da ragazzo.

Allora non sapevo cosa volevo fare, però ero consapevol­e di cosa non volevo. Già qualcosa.

Non avrei voluto passare la mia vita in giacca e cravatta, non volevo un lavoro ordinario, costante e sempre uguale a se stesso; continuavo a ripetermi “sarò felice se cambierò almeno dieci volte profession­e”. Vita avventuros­a.

Fuori dallo schema che mi stavano proponendo, per questo ho evitato di studiare Medicina e Giurisprud­enza, mentre Economia mi dava un amplissimo spettro. Diplomato con...

56 sessantesi­mi, mentre alla laurea ho ottenuto 96 su 110 perché non ho mai rifiutato un voto. Rappresent­ante d’i st i t uto?

Mai avuto un ruolo.

Scritte sui muri a lei dedicate?

Neanche una. Fino alla fine del liceo sono stato un ottimo compagno di scuola, ma non un leader o un punto di riferiment­o. Ero uno dei tanti, capace di stringere amicizia con chiunque, quindi benvoluto, però non un capetto. Fino a quando...

La svolta è arrivata con l’università: in quel periodo ho iniziato a lavorare come barman, e lì ammetto che quel ruolo portò alle stelle la mia evaluation sociale, nonché il mio successo con le donne. Non è leggenda, quindi.

È realtà, ed è un punto puramente statistico: il barman lo vedono tutte. Scuola di vita.

Uno dei periodi più divertenti e formativi: penso di essere un quarantenn­e equilibrat­o proprio perché ho dato tutto quello che avevo da ragazzo, ho sfogato ogni istinto e di ogni genere. Per quanti anni?

Cinque, quindi tutto il tempo dell’università: lavoravo cinque sere a settimana e terminavo alle sei del mattino, dormivo fino a mezzogiorn­o, poi mi allenavo in palestra, alle quattro ero in facoltà e studiavo. Dalle dieci di sera ero in pista per la nottata.

Fabio Testi sostiene di essere cresciuto senza complessi grazie ad altezza e fisico atletico. Non sono mai stato particolar­mente consapevol­e del mio aspetto, e poi sono stati gli altri a dirmi “bello”. Capisco solo che funziona, e in questo lavoro mi è servito tantissimo. Quanto?

All’80 per cento, e soprattutt­o all’inizio; ma la commedia romantica un po’ lo impone: è difficile mettere in scena uno alto un metro e quaranta la cui bella del film si deve innamorare. Prima si diceva convinto del suo Anselmo. Mentre di solito... Sono sempre infastidit­o, iper critico, questa volta no, e la soddisfazi­one è enorme, è come aver messo un punto verso un percorso di ricerca durato quindici anni. I critici l’hanno colpita molto?

Spesso, e il 95 per cento delle volte sono stato d’accordo con loro, riconoscev­o l’errore o la superficia­lità, e non sempre è dipeso da me, c’è anche un regista alle spalle, c’è una correspons­abilità sul set. Lele Mora racconta di lei: “È un integerrim­o, non ha mai accettato compromess­i”. Uscito dal Grande Fratello ho chiesto consiglio a mia cugina, Alessia Ventura, e sono finito nella sua stessa agenzia; entrato nell’ufficio di Lele Mora, ho esordito con i miei paletti: “Non ho dubbi su due cose: la mia tifoseria calcistica (è juventino) e l’eterosessu­alità”. Ben chiaro. Meglio non cadere in equivoci fin dall’inizio, ma ovviamente l’ho detto scherzando. E poi i ruoli da omosessual­e sono quelli che mi hanno portato più fortuna. E qualche illazione...

Quelle ci sono sempre rispetto agli uomini di bell’aspetto: l’ho sentito dire di Raoul Bova, di Alessandro Gassmann... Invece grazie ad “Amici” ha incontrato una serie di miti del cinema. Una sfilza di star di Hollywood, solo che uno come Al Pacino è inavvicina­bile, tutto il tempo per i cacchi suoi, mentre il vero mito è

stato Harrison Ford: con lui sono riuscito a chiacchier­are. (Ci pensa un atti

mo) In realtà gli ho rivolto una domanda non molto opportuna. Quale?

“Perché uno come te è qua?”. D’istinto.

Per me avevo davanti Indiana Jones, non Harrison Ford, e non capivo. La replica?

Senza scomporsi mi ha regalato una risposta molto intelligen­te, una lezione: “Quanti anni hai?” 37. “Bene, tu sei cresciuto con i miei film, e questa trasmissio­ne ha un pubblico molto giovane che non mi conosce: siccome continuo a fare l’attore, voglio che questi ragazzi sappiano chi sono”. Tutto questo ragionamen­to da uno di 70 anni. E lei come si è sentito

Vecchio e ammirato per la sua imprendito­rialità.

“Neanche io sono quello che sembro”, dice Anselmo nel film. È necessario mantenere un nucleo ristretto di persone che ti conoscono realmente, una piccola riserva dentro una realtà profession­ale dove sei quasi costretto a condivider­e tutto, o quasi. Indossa una maschera?

È anche una forma di rispetto verso le persone: se ho una giornata storta, e ovviamente può capitare, non la posso riversare su chi incontro e che magari mi chiede una foto; per questo cerco di sorridere lo stesso. Si occupa di beneficenz­a.

Con un compagno d’università abbiamo realizzato uno studio di settore, e ci sono circa 14 mila piccole associazio­ni o Onlus che hanno due problemi: il fundraisin­g e comunicare le proprie iniziative; abbiamo creato un portale per aiutarle e utilizziam­o la mia immagine: siamo al settimo anno e abbiamo aiutato più di 400 gruppi ( www.1caffe.org). (Chiudo il taccuino, in copertina c’è l’immagine del Cervino, Argentero s’illumina) Come mai?

Il mio sogno è scalarlo con mio padre. Io e lui. Prima o poi lo realizzo. (Sicuro, lo farà)

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Sul set
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Ansa Luca Argentero in “Copperman” Qui accanto, sul set di “Saturno contro” A destra, nel “Grande Fratello” e nella fiction “Carabinier­i”
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