Zingaretti e Franceschini: sfida sulla crisi in autunno
“Itoni muscolari di Nicola Zingaretti sul Mes non li ho proprio capiti”. Ragiona così un parlamentare tra i più vicini a Dario Franceschini. Perché il giorno dopo la lettera del segretario del Pd al Corriere della Sera in cui chiedeva di smettere di tergiversare sull’attivazione di questo strumento, il Pd si è deciso a capitolare sui tempi.
Il 15 luglio la risoluzione di maggioranza sulla quale il premier Conte chiederà il voto prima del Consiglio europeo riguarderà al massimo il Next Generation Eue il bilancio pluriennale, mentre inizialmente il Pd voleva inserire anche il Mes. Troppo risicati i voti in Senato. E dunque, se ne riparla a settembre. Se non addirittura dopo, quando arriverà in Parlamento lo scostamento di bilancio, come ipotizza un ministro dem. È la linea del premier, che vuole prima incassare il Recovery Fund. Per arrivare a un risultato soddisfacente (la proposta della Commissione Ue) punta sull’asse con la Germania, ribadito in una conversazione telefonica con la Cancelliera Angela Merkel di ieri. Non sarà comunque una passeggiata.
INTANTO la politica italiana va per conto suo. E in autunno, il segretario del Pd potrebbe forzare proprio sul Mes persino fino alla caduta del governo, scommettendo su urne in primavera. Mentre Dario Franceschini è pronto a fare le barricate per evitare questo scenario: vuole arrivare fino al 2022 e giocarsi le sue carte per essere eletto al Quirinale. Un’ambizione che nel partito nutrono in molti (da Paolo Gentiloni a Romano Prodi, passando per Walter Veltroni e pure per David Sassoli), ma Franceschini è pronto a fare tutto quello che può. Dunque, la prima cosa è fermare la tentazione del segretario di far precipitare la situazione. Per questo, sui tavoli delle nomine porta avanti più gli uomini vicini a Zingaretti che a lui (un esempio su tutti, Mario Orfeo alla direzione del Tg3). E sarebbe pronto a offrirgli anche un posto al governo. Basterà? Non è detto, perché per Zingaretti è essenziale evitare l’assalto alla guida del Nazareno di Stefano Bonaccini e Andrea Orlando. E poi, c’è una certa preoccupazione tra i gruppi parlamentari. “Q uest’autunno il governo potrebbe mostrare tutti i suoi limiti. Serve una scossa”, ragionava Maurizio Martina. Con “scossa” si intende anche la possibilità di un’alleanza organica con i Cinque Stelle, che per ora proprio non si vede.
TRA I MOVIMENTI in campo, ce ne sono altri rivelatori. Gli stessi Orlando e Franceschini guidano la trattativa per riportare a casa da Iv un drappello di parlamentari scontenti. Anche in questo caso, l’operazione dovrebbe andare in porto a settembre, dopo le Regionali. A quel punto, davanti a un risultato negativo e a un accrescersi del peso di capo-delegazione e vicesegre
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tario, le urne per Zingaretti diventerebbero una via d’uscita. Tutto questo è subordinato però a fare quella legge elettorale proporzionale, per la quale il segretario dem sta trattando con Berlusconi. Altro ostacolo: il 20 settembre si vota anche per il taglio dei parlamentari. Quanto ci vorrà a ridisegnare i collegi?
Che il quadro sia sfibrato, però, lo ammettono tutti. E così gli occhi sono puntati alle prossime votazioni. Con un grosso “incidente”, lo scenario cambia. Il 10 luglio si chiude la finestra elettorale per il 20 settembre. Però c’è chi trama per un altro premier e un altro governo, magari con dentro i big, da Matteo Renzi allo stesso Zingaretti. Gli occhi sono puntati – al solito – sull’ex premier che però gioca su più tavoli. Uno è quello di condizionare Conte. A partire dal rinnovo delle presidenze di Commissione. Si vota il 14 luglio. Per la Bilancio si sta consumando una guerra tra Luigi Marattin (Iv) e i due dem, Fabio Melilli e Pier Carlo Padoan. Le strade dei ribaltoni sono imprevedibili. Ma anche infinite.