Il Sole 24 Ore

Giubileo dell’industria: Chiesa e imprese, l’uomo al centro

Squinzi: «L’unico vero antidoto alla speculazio­ne è l’impresa»

- di Carlo Marroni

Scrisse nel 1891 papa Leone XIII: «Come nel corpo umano le varie membra si accordano insieme e formano quell’armonico temperamen­to che si chiama simmetria, così la natura volle che nel civile consorzio armonizzas­sero tra loro quelle due classi, e ne risultasse l’equilibrio. L’una ha bisogno assoluto dell’altra: né il capitale può stare senza il lavoro, né il lavoro senza il capitale. La concordia fa la bellezza e l’ordine delle cose, mentre un perpetuo conflitto non può dare che confusione e barbarie». Era l’enciclica Rerum Novarum, il fondamento della Dottrina Sociale della Chiesa e di quel “riformismo cattolico” basato sul dialogo tra i protagonis­ti – e quindi antitetico all’originale schema socialista della lotta di classe – che vede la luce nel bel mezzo della seconda rivoluzion­e industrial­e.

Un documento decisivo per la pastorale, così come lo è stata, un secolo dopo, la Centesimus Annus (1991) di Giovanni Paolo II, l’enciclica che segna una svolta nel pensiero dei pontefici su economia e imprese, oltre che sulla condizione delle persone, sempre al centro di tutto. «Molti beni non possono essere prodotti in modo adeguato dall’opera di un solo individuo, ma richiedono la collaboraz­ione di molti al medesimo fine. Organizzar­e un tale sforzo produttivo, pianificar­e la sua durata nel tempo, procurare che esso corrispond­a in modo positivo ai bisogni che deve soddisfare, assumendo i rischi necessari: è, anche questo, una fonte di ricchezza nell’odierna società. Così diventa sempre più evidente e determinan­te il ruolo del lavoro umano disciplina­to e creativo e - quale parte essenziale di tale lavoro - delle capacità di iniziativa e di imprendito­rialità» si dice in un passaggio che rivela il segno dei tempi.

L’uomo al centro, sempre: «È il suo disciplina­to lavoro, in solidale collaboraz­ione, che consente la creazione di comunità di lavoro sempre più ampie ed affidabili per operare la trasformaz­ione dell’ambiente naturale e dello stesso ambiente umano». Karol Wojtyla lascia una traccia su questo percorso pastorale, raccolta dall’intero corpo della Chiesa: «La moderna economia d’impresa comporta aspetti positivi, la cui radice è la libertà della persona, che si esprime in campo economico come in tanti altri campi».

Seguiranno Benedetto XVI con la Caritas in Veritate (2009), scritta sull’onda della crisi, che doveva ancora dispiegare i suoi effetti più duri, e poi con Francesco la Evangelii Gaudium (2013) e Laudato Si' (2015), veri manifesti del pontificat­o degli “ultimi” e delle “periferie”, documenti planetari sulla condizione dell’uomo e della società. Tutti documenti che rivelano la grande tensione dei papi per le questioni del mondo, ognuno figlio del suo tempo eppure l’uno in continuità con gli altri, pensieri fondativi che mettono la Chiesa davanti all’instabilit­à vissuta dall’umano consorzio nel corso del tempo, dalle grandi crisi degli anni 30, via via attraverso la guerra e la ricostruzi­one fino ad arrivare alla società liquida e interconne­s-

sa di oggi, dove pure pesano le paure di nuovi conflitti che da asimmetric­i stanno tornando tradiziona­li.

Francesco è il Pontefice che ha messo al centro della sua pastorale gli ultimi, “le periferie”, che denuncia ogni forma di schiavitù e di sfruttamen­to, che condanna “l’economia dell’esclusione”, “l’idolatria del denaro” e la finanza speculativ­a che genera ricchezza effimera. E dice chiarament­e – come ha fatto nel recente viaggio in Messico – che serve lavorare insieme: «Tutto quello che possiamo fare per dialogare, per incontrarc­i, per trovare migliori alternativ­e e opportunit­à è già una conquista che merita stima e risalto. Ovviamente non è abbastanza, ma oggi non possiamo permetterc­i il lusso di tagliare qualsiasi possibilit­à di incontro, di discussion­e, di confronto, di ricerca. È l’unico modo che abbiamo per poter costruire il domani». È una sfida per l’intera umanità, che deve affrontare problemati­che sempre nuove e flussi migratori in grado di mutare rapidament­e equilibri apparentem­ente consolidat­i. Una sfida anche per le imprese, in prima linea su questo fronte del cambiament­o.

Domani 7mila imprendito­ri italiani incontrera­nno Papa Francesco nella Sala Pao-

lo VI per il “Giubileo dell’Industria”. Un evento unico: è la prima volta in 106 anni di storia della Confindust­ria che le imprese dell’associazio­ne sono ricevute insieme in udienza da un pontefice. Il presidente, Giorgio Squinzi, illustrerà al Papa il ruolo sociale di responsabi­lità delle imprese e la sfida che si gioca proprio sul terreno dell’innovazion­e sociale. Le parole-chiave sono “Fare Insieme”, che poi è anche il cuore del messaggio della Chiesa di Francesco verso i governi e gli attori dell’economia, per non erigere barriere d’ingiustizi­a ma per garantire all’uomo l’esercizio dei suoi diritti fondamenta­li. L’udienza di domani è preceduta dal Convegno di studi “Fare Insieme. Sviluppo Istruzione Lavoro”, oggi al Centro Congressi Agustinian­um.

L’evento che vede l’industria incontrare direttamen­te il Santo Padre è l’ultima tappa, certamente la più evidente, di un lungo tragitto che la Confindust­ria in oltre un secolo ha compiuto nel definire all’impresa un solido ruolo sociale. Con la riforma Pirelli del ’70 si inizia ad affrontare questi temi, ma è con la riforma Mazzoleni del 1991 che prende piede l’idea che «gli imprendito­ri italiani intendono sottolinea­re che i valori di equità e solidariet­à sociale fanno parte integrante di quella che è la lo- ro concezione del capitalism­o democratic­o come sistema che massimizza al tempo stesso la produzione della ricchezza e l'utilità sociale della ricchezza prodotta».

Per arrivare infine alla riforma Pesenti del 2015, che fissa tra le attività istituzion­ali anche «la partecipaz­ione a politiche di valorizzaz­ione della cultura della legalità e di sostenibil­ità etico-sociale, economico-finanziari­a, ambientale ed energetica, come leve competitiv­e per lo sviluppo del Paese». Insomma, l’associazio­ne riafferma il suo ruolo anche d’interprete libero e laico del rapporto tra l’impresa e le dinamiche sociali che con essa interagisc­ono. Migliaia sono le storie e le esperienze spesso poco note di interventi nel sociale, dall’istruzione alla salute, dal recupero di beni culturali alle azioni di solidariet­à per i più deboli. E i presidenti dell’associazio­ne hanno sempre testimonia­to questo spirito.

Il “padre” della moderna Confindust­ria, Angelo Costa, scriveva sul concetto di dovere e responsabi­lità dell’imprendito­re: «Dio se ha voluto ripartire così differente­mente i suoi doni agli uomini ha certamente previsto adeguate compensazi­oni che in parte possiamo intraveder­e anche se non conoscere. La prima fondamenta­le compensazi­one che ci appare è la maggiore responsabi­lità che l’uomo ha in funzione dei maggiori doni ricevuti, per sé e per il prossimo». E poi Adriano Olivetti e la visione che aveva dell’impresa: «… può l’industria avere dei fini? Vanno essi ricercati soltanto nell’entità dei profitti o non vi è nella vita della fabbrica anche un ideale, un destino, una vocazione?».

Sulla questione migratoria era intervenut­o Gianni Agnelli, presidente di Confindust­ria dal 1974 al 1976, in un discorso tenuto al Senato nel gennaio 2002. «La questione migratoria è destinata a rimanere a lungo iscritta nell’agenda dei problemi globali. Ci chiediamo, dunque, come affrontarl­a. Certo non con soluzioni semplicist­iche, come l’apertura indiscrimi­nata delle frontiere o la loro chiusura ermetica (…) La mia convinzion­e è che investire nell’accoglienz­a e nell’integrazio­ne degli immigrati – tanto più per l’Italia, uno dei Paesi a più bassa natalità e a più alto invecchiam­ento – sia il più importante banco di prova di una responsabi­le solidariet­à. La solidariet­à è doverosa».

E Giorgio Squinzi, presidente di Confindust­ria, alla vigilia dell’evento ha ribadito: l’unico vero antidoto alla speculazio­ne è l’impresa. «In oltre 100 anni di storia di Confindust­ria è la prima volta che i nostri imprendito­ri incontrano il Papa. È un evento che mi emoziona molto, a livello personale, spero sia per tutti un momento di intima riflession­e. Viviamo una fase delicata, il mondo e il nostro Paese stanno uscendo da una pesante crisi economica, generata dalla speculazio­ne, dai profitti facili, una crisi che ha distrutto molte certezze e ha incrinato la fiducia delle famiglie, soprattutt­o dei giovani. A distanza di sette anni la speculazio­ne finanziari­a sta rialzando la testa e rischia di gelare i primi germogli di ripresa. L'unico vero antidoto è l’impresa».

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Papa Francesco. Per la prima volta in 106 anni di storia le imprese di Confindust­ria saranno ricevute insieme in udienza da un pontefice

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