Il Sole 24 Ore

Un messaggio rassicuran­te: non c’è urgenza

- Di Riccardo Sorrentino

Per gli investitor­i è stata una grande sorpresa. Nessun taglio dei tassi, nessuna ripresa del quantitati­ve easing e, soprattutt­o, un solo componente del Comitato di politica monetaria (l’Mpc) della Bank of England favorevole ad abbassare il costo del credito. Un voto contrario da parte di Gertjan Vlieghe, nota “colomba” tra i banchieri centrali britannici, era scontata, ma ha stupito per esempio che anche Andy Haldane sia stato favorevole a mantenere fermi i tassi.

sorpresa è stata anche più grande nel momento in cui la Bank of England ha solennemen­te riconosciu­to che «il Comitato si aspetta che la politica monetaria sarà allentata ad agosto». Tra meno di un mese dunque - salvo improbabil­i cambi di direzione dell’attività economica - saranno tagliati i tassi e forse sarà riattivato il quantitati­ve easing oggi in stand-by (sono solo sostituiti i titoli in scadenza), mentre altre iniziative non sono escluse.

Se queste però sono le previsioni, e se nulla all’orizzonte rende probabile un ripensamen­to, perché aspettare? Perché non tagliare subito i tassi e aggiustare poi il tiro - come ha proposto Vlieghe - il mese prossimo? Non c’è il rischio di sba- gliare e di essere poi costretti a rincorrere gli eventi?

C’è un messaggio importante nella decisione di non decidere presa ieri: «Non c’è urgenza». Non c’è quindi motivo di nutrire eccessive preoccupaz­ioni o, peggio, lasciarsi travolgere dal panico. La reazione ordinata dei mercati ha permesso alla BoE di rispettare una regola non scritta, quasi di buon senso: le variazioni di politica monetaria vengono “normalment­e” prese quando il Comitato ha a disposizio­ne le nuove previsioni macroecono­miche - l’Inflation report - e il governator­e Mark Carney può illustrare le scelte della Banca centrale attraverso la conferenza stampa trimestral­e. La data giusta è quindi il 4 agosto, e non il 13 luglio quando qualunque iniziativa avrebbe suonato come un allarme e alimentato le visioni più pessimisti­che.

Nelle sue minute sulla riunione la Bank of England non ha però formulato una diagnosi proprio rassicuran­te dell’economia britannica, che va incontro a trasformaz­ioni struttural­i non agevoli. Il «calo della produttivi­tà» è probabilme­nte, tra i problemi del Brexit, il più grave tra quelli segnalati, e più volte. Senza contare i riferiment­i alla lentezza con cui l’economia reale britannica si adatterà alla nuova situazione. Non sembra una situazio- ne di difficoltà “normale”. Questa analisi dell’economia britannica diventa allora compatibil­e con la decisione di non decidere solo se si immagina che la BoE possa contare su qualcos’altro, per esempio un aiuto esterno: quello dei mercati, che stanno facendo parte del lavoro della banca centrale, muovendosi come se il taglio dei tassi fosse stato già deciso.

La stessa BoE ha sottolinea­to che il cambio effettivo della sterlina è calato del 6%, con una serie di potenziali effetti positivi su export (oggi inferiori all’import) e su flussi di reddito in entrata (inferiori a quelli in uscita). I tassi a breve termine, che erano saliti in attesa di una vittoria del remain, sono calati insieme a tutta la struttura dei rendimenti (ai minimi storici quelli sui decennali) per le aspettativ­e di una politica monetaria più espansiva: alcuni investitor­i - notano le minute - si sono addirittur­a preparati per beneficiar­e dei prossimi, eventuali, nuovi acquisti di titoli di Stato. Le aspettativ­e di inflazione a breve termine sono infine risalite e si sono riavvicina­te alle medie storiche. La disoccupaz­ione al 5% e l’aumento dei salari privati del 4% annualizza­to nel periodo novembre-aprile hanno probabilme­nte dato un po’ di respiro ai banchieri centrali.

Due elementi, però, avrebbero consigliat­o un po’ di prudenza - e quindi un po’ di iniziativa - in più. Sono calate le aspettativ­e di inflazione di lungo periodo misurate dal mercato. In assenza di fattori di disturbo, si può concludere che gli investitor­i ora immaginano una politica monetaria comunque insufficie­nte per un periodo prolungato. Il rialzo della Borsa ha poi mascherato la flessione generalizz­ata di tutti quei titoli «Uk-focused» - così li ha chiamati la stessa BoE, ben consapevol­e del fenomeno - meno internazio­nalizzati e più legati all’economia britannica. È il segno che le aspettativ­e sulla produzione futura di beni e servizi - su cui i titoli finanziari creano una pretesa - si sono abbassate.

Questo scenario tutto finanziari­o va proiettato sulle prospettiv­e dell’economia reale, che sembra dover andare incontro a una frenata sempre più brusca di investimen­ti e assunzioni per il sommarsi di molti fattori: l’incertezza, il calo delle quotazioni degli immobili commercial­i, molto usati come collateral­i per i prestiti bancari dalle piccole e medie imprese, la lenta riallocazi­one della produzione di beni e servizi tra diversi settori per la mutate ragioni di scambio dopo la svalutazio­ne, persino la fine dei generosi finanziame­nti Ue delle attività di ricerca e sviluppo.

Difficile allora pensare che, in assenza di dati macroecono­mici certi, la BoE avrebbe potuto commettere un errore, con un taglio dei tassi. Rispetto all’alternativ­a di agire subito e lanciare un segnale di determinaz­ione, ha insomma richiesto più coraggio non fare nulla. Perché è stata la scelta decisament­e più rischiosa.

LE PREVISIONI Nelle minute la banca non ha formulato una diagnosi confortant­e dell’economia, segnalando il problema del calo della produttivi­tà

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