Un messaggio rassicurante: non c’è urgenza
Per gli investitori è stata una grande sorpresa. Nessun taglio dei tassi, nessuna ripresa del quantitative easing e, soprattutto, un solo componente del Comitato di politica monetaria (l’Mpc) della Bank of England favorevole ad abbassare il costo del credito. Un voto contrario da parte di Gertjan Vlieghe, nota “colomba” tra i banchieri centrali britannici, era scontata, ma ha stupito per esempio che anche Andy Haldane sia stato favorevole a mantenere fermi i tassi.
sorpresa è stata anche più grande nel momento in cui la Bank of England ha solennemente riconosciuto che «il Comitato si aspetta che la politica monetaria sarà allentata ad agosto». Tra meno di un mese dunque - salvo improbabili cambi di direzione dell’attività economica - saranno tagliati i tassi e forse sarà riattivato il quantitative easing oggi in stand-by (sono solo sostituiti i titoli in scadenza), mentre altre iniziative non sono escluse.
Se queste però sono le previsioni, e se nulla all’orizzonte rende probabile un ripensamento, perché aspettare? Perché non tagliare subito i tassi e aggiustare poi il tiro - come ha proposto Vlieghe - il mese prossimo? Non c’è il rischio di sba- gliare e di essere poi costretti a rincorrere gli eventi?
C’è un messaggio importante nella decisione di non decidere presa ieri: «Non c’è urgenza». Non c’è quindi motivo di nutrire eccessive preoccupazioni o, peggio, lasciarsi travolgere dal panico. La reazione ordinata dei mercati ha permesso alla BoE di rispettare una regola non scritta, quasi di buon senso: le variazioni di politica monetaria vengono “normalmente” prese quando il Comitato ha a disposizione le nuove previsioni macroeconomiche - l’Inflation report - e il governatore Mark Carney può illustrare le scelte della Banca centrale attraverso la conferenza stampa trimestrale. La data giusta è quindi il 4 agosto, e non il 13 luglio quando qualunque iniziativa avrebbe suonato come un allarme e alimentato le visioni più pessimistiche.
Nelle sue minute sulla riunione la Bank of England non ha però formulato una diagnosi proprio rassicurante dell’economia britannica, che va incontro a trasformazioni strutturali non agevoli. Il «calo della produttività» è probabilmente, tra i problemi del Brexit, il più grave tra quelli segnalati, e più volte. Senza contare i riferimenti alla lentezza con cui l’economia reale britannica si adatterà alla nuova situazione. Non sembra una situazio- ne di difficoltà “normale”. Questa analisi dell’economia britannica diventa allora compatibile con la decisione di non decidere solo se si immagina che la BoE possa contare su qualcos’altro, per esempio un aiuto esterno: quello dei mercati, che stanno facendo parte del lavoro della banca centrale, muovendosi come se il taglio dei tassi fosse stato già deciso.
La stessa BoE ha sottolineato che il cambio effettivo della sterlina è calato del 6%, con una serie di potenziali effetti positivi su export (oggi inferiori all’import) e su flussi di reddito in entrata (inferiori a quelli in uscita). I tassi a breve termine, che erano saliti in attesa di una vittoria del remain, sono calati insieme a tutta la struttura dei rendimenti (ai minimi storici quelli sui decennali) per le aspettative di una politica monetaria più espansiva: alcuni investitori - notano le minute - si sono addirittura preparati per beneficiare dei prossimi, eventuali, nuovi acquisti di titoli di Stato. Le aspettative di inflazione a breve termine sono infine risalite e si sono riavvicinate alle medie storiche. La disoccupazione al 5% e l’aumento dei salari privati del 4% annualizzato nel periodo novembre-aprile hanno probabilmente dato un po’ di respiro ai banchieri centrali.
Due elementi, però, avrebbero consigliato un po’ di prudenza - e quindi un po’ di iniziativa - in più. Sono calate le aspettative di inflazione di lungo periodo misurate dal mercato. In assenza di fattori di disturbo, si può concludere che gli investitori ora immaginano una politica monetaria comunque insufficiente per un periodo prolungato. Il rialzo della Borsa ha poi mascherato la flessione generalizzata di tutti quei titoli «Uk-focused» - così li ha chiamati la stessa BoE, ben consapevole del fenomeno - meno internazionalizzati e più legati all’economia britannica. È il segno che le aspettative sulla produzione futura di beni e servizi - su cui i titoli finanziari creano una pretesa - si sono abbassate.
Questo scenario tutto finanziario va proiettato sulle prospettive dell’economia reale, che sembra dover andare incontro a una frenata sempre più brusca di investimenti e assunzioni per il sommarsi di molti fattori: l’incertezza, il calo delle quotazioni degli immobili commerciali, molto usati come collaterali per i prestiti bancari dalle piccole e medie imprese, la lenta riallocazione della produzione di beni e servizi tra diversi settori per la mutate ragioni di scambio dopo la svalutazione, persino la fine dei generosi finanziamenti Ue delle attività di ricerca e sviluppo.
Difficile allora pensare che, in assenza di dati macroeconomici certi, la BoE avrebbe potuto commettere un errore, con un taglio dei tassi. Rispetto all’alternativa di agire subito e lanciare un segnale di determinazione, ha insomma richiesto più coraggio non fare nulla. Perché è stata la scelta decisamente più rischiosa.
LE PREVISIONI Nelle minute la banca non ha formulato una diagnosi confortante dell’economia, segnalando il problema del calo della produttività