Il Sole 24 Ore

L’aumento di capitale fittizio di CariFe

I 22,8 milioni sottoscrit­ti da quattro banche amiche vennero restituiti comprando loro azioni

- Ivan Cimmarusti Sara Monaci

A ncora perquisizi­oni in quattro piccole banche del territorio e quattro nuovi indagati per aggiotaggi­o nell’inchiesta su Cassa di risparmio di Ferrara, uno dei quattro istituti di credito (con Banca Etruria, Cassa di risparmio di Chieti e Banca Marche) prima finite sotto il commissari­amento di Banca d'Italia e poi dichiarate insolventi dai tribunali fallimenta­ri - fatto, quest'ultimo, che ha dato il via anche alle indagini per bancarotta fraudolent­a nelle varie procure locali.

Ieri per CariFe un altro passo avanti nelle indagini relative al primo dossier, quello appunto sul falso in prospetto, aggiotaggi­o e ostacolo alla vigilanza. Ora gli indagati, a vario titolo, sono in tutto 21. Nell’elenco si sono aggiunti i dirigenti di Banca Popolare di Bari, Banca Popolare di Cividale, la Banca Popolare Valsabbina (Brescia) e la Cassa di Risparmio di Cesena, i quattro istituti che cinque anni fa partecipar­ono all'aumento di capitale finito nel mirino degli inquirenti. Si tratta rispettiva­mente di Marco Jacovini, dell’ex dirigente Lorenzo Pellizzo, di Ezio Soardi e dell'ex dirigente Germano Lucchi. Le perquisizi­oni sono avvenute proprio nelle quattro banche, che ora risultano indagate ai sensi della legge sulla responsabi­lità amministra­tiva delle società.

Sotto la lente c’è l'aumento di capitale da 150 milioni del 2011, sottoscrit­to per 22,8 milioni complessiv­i dalle quattro piccole banche.

Operazione che per gli inquirenti e la Gdf di Ferrara, guidata dal colonnello Sergio Lancerin, sarebbe stata fittizia, visto che le risorse entrate nelle casse di CariFe sarebbero state poi girate alla società controllat­a CariFe Sei, la quale a sua volta ha acquistato azioni degli stessi istituti sottoscrit­tori. Il denaro quindi sarebbe entrato nella Cassa di Ferrara per simulare corretti ratios patrimonia­li, ma subito dopo sarebbe uscito per tornare all’origine. L'aumento di capitale sarebbe stato dunque apparente, e le banche “amiche” si sarebbero prestate per ragioni che gli inquirenti cercano ora di capire.

Nei decreti di perquisizi­one si parla del reato 2632 del codice civile, cioè formazione fittizia del capitale, contestato a Carife per l’illecita sottoscriz­ione reciproca di azioni. Si sottolinea che i quattro istituti di credito sono intervenut­i nell’aumento di capitale di CariFe complessiv­a- mente per oltre 22 milioni 800mila euro, e il denaro sarebbe confluito nelle casse di CariFe per poi tornare illecitame­nte ai quattro istituti. «Lo scambio di azioni che vi fu tra Carife e le altre quattro banche è un’operazione non corretta, vietata dalle norme del codice civile e per le quali ora è contestata anche la bancarotta fraudolent­a», ha detto Bruno Cherchi, capo della procura di Ferrara.

L'aumento di capitale era stato chiesto dalla Banca d’Italia per rafforzare patrimonia­lmente la banca. Ma, secondo la ricostruzi­one degli inquirenti, i vertici dell’istituto non erano disposti a far entrare nuovi azionisti, col rischio di alterare gli equilibri “politici”. CariFe era controllat­a dalla Fondazione Carife.

Nel registro degli indagati figurano, tra gli altri, anche l'ex direttore generale Daniele Forin; l’ex presidente Sergio Lenzi; i consiglier­i Ennio Manuzzi, Giuseppe Vaccini, Simonetta Tal- melli, Riccardo Fava, Paolo Govoni e Teodorico Nanni. Le accuse riguardano anche Michele Masini, dirigente della società di revisione Deloitte & Touche.

Intanto per CariFe, tecnicamen­te insolvente dallo scorso febbraio, si è aperto lo scenario della bancarotta fraudolent­a. La procura di Ferrara sta cercando di capire quali sarebbero stati i comportame­nti distrattiv­i e chi ne sarebbero i responsabi­li, se ci sono stati cioè casi di prestiti facili o in conflitto di interesse che avrebbero contribuit­o al fallimento della banca. Tutti problemi che le quattro banche fallite hanno in comune, ed è per questo che i procurator­i che coordinano le inchieste si sono incontrati un paio di mesi fa per confrontar­si.

La banca di Cividale intanto sottolinea di essere impegnata nella «ricostruzi­one dell’accaduto per dimostrare la correttezz­a dell'operato».

LA PROCURA DI FERRARA «Quello scambio di titoli fra gli istituti è un’operazione non corretta ed è vietata » I mezzi freschi, per 150 milioni, rafforzaro­no i ratios

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Banche risolte L’istituto, insieme ad altri tre, è stato oggetto dei provvedime­nti del novembre scorso

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