Il bail-in e i dubbi di incostituzionalità
La Corte metta ordine alla crescente sovrapposizione delle fonti del diritto
Il dubbio sulla legittimità costituzionale della normativa sul bail-in è fondato. Com’è noto, la procedura introdotta non ha la finalità della definitiva estinzione dell’impresa, ma del suo risanamento, o del trasferimento delle attività e passività a un soggetto terzo. Secondo la normativa del bail-in, in questa procedura si estingue il diritto di credito per alcune categorie.
Il problema più significativo riguarda il credito alla restituzione di una somma di denaro (per la parte eccedente 100mila euro) da parte del correntista (che, secondo il Codice civile, «può disporre in qualsiasi momento delle somme risultanti a suo credito», salvo un breve termine di preavviso).
Accanto all’art. 47 della Costituzione sulla tutela del risparmio, sul quale si è soffermato con condivisibili argomentazioni il presidente dell’Abi Patuelli, assumono rilievo l’art. 3 e l’art. 42.
La lesione del principio di eguaglianza emerge dal fatto che il credito del correntista viene escluso nei confronti dell’impresa che emergerà dalla procedura di risoluzione, a differenza di quanto previsto dall’ordinamento per vicende analoghe.
Quanto alla garanzia della proprietà privata, la Corte costituzionale da una decina d’anni afferma che l’art. 42 va interpretato alla luce dell’art. 1 del primo protocollo aggiuntivo della Convenzione europea dei diritti umani. La Corte di Strasburgo ha da tempo chiarito che la nozione di proprietà va intesa in senso ampio. Certamente essa comprende posizioni come quelle del correntista bancario, la quale contiene il ricordato potere di disposizione «in qualsiasi momento» del bene, che è una forma di proprietà ai sensi della Corte europea dei diritti dell’uomo. Per i correntisti il bail-in sembra quindi determinare un’espropriazione senza indennizzo, vietata dall’art.42 della Costituzione.
Restano aperti due problemi. Il primo è che nel nostro sistema l’accesso alla Corte costituzionale è indiretto; per avere un responso, bisogna quindi attendere la prima “vittima” della nuova disciplina, auspicando naturalmente che non ve ne saranno, e sempre che il tema non si consideri invece rilevante anche con riferimento alle norme del decreto 183/2015 (“salva banche”).
Il secondo problema riguarda il rapporto tra la normativa europea e quella costituzionale. I principi richiamati rientrano, come ha scritto il Presidente Patuelli, tra quelli non riconducibili alle limitazioni di sovranità di cui all’art. 11 della Costituzione, e quindi prevalgono sul diritto europeo?
La Corte costituzionale finora ha evitato di chiarire quali sono i “principi supremi” inderogabili. Ma presto dovrà affrontare il tema, dal momento che la Cassazione le ha inviato il problema insorto a seguito dell’opinabile (mi limito a questo aggettivo) sentenza della Corte di giustizia Ue del 2015 (caso Taricco), con la quale è stato “ordinato” ai giudici italiani di non dichiarare estinti per prescrizione i reati in materia di Iva.
È auspicabile che la Corte costituzionale metta ordine, alla luce della Carta fondamentale, nella crescente confusione, sovrapposizione e moltiplicazione delle fonti del diritto, europeo e interno, che creano una situazione di incertezza intollerabile in materie così rilevanti e delicate.
I NODI DA SCIOGLIERE Da una parte nel nostro sistema l’accesso alla Corte è indiretto, dall’altra va valutato il rapporto tra la normativa europea e quella costituzionale