Il Sole 24 Ore

Banca Ifis punta sul corporate banking Focus sul business dei portafogli di Npl

Maggiori costi: l’istituto dice che è l’effetto di crescita e digitalizz­azione Focus sull’integrazio­ne di Interbanca attesa al break even a partire dal 2017

- Di Vittorio Carlini Servizio

Proseguire nell’integrazio­ne di GE Capital Interbanca. Inoltre: crescere nella gestione dei portafogli di sofferenze. Ancora: sviluppare il corporate banking verso le Pmi. Sono tra le priorità di Banca Ifis a sostegno del business. L’attività, nel 2016, ha visto i ricavi reported calare mentre l’utile (sempre reported) è salito. Al di là del conto economico il risparmiat­ore è interessat­o allo sviluppo aziendale. Questo, a ben vedere, è ricompreso nel piano d’impresa 2017-2019. Un business plan che, tra le altre cose, prevede la spinta nel business di gestione degli Npl. Uno scenario a fronte del quale si può temere che l’attività di Banca Ifis possa diventare eccessivam­ente rischiosa. L’istituto rigetta il dubbio. In primis il gruppo, ricordando che i tempi di lavorazion­e degli Npl non sono immediati, sot- tolinea che la marginalit­à, prevista nel 2019, è già presente in nuce nell’attuale portafogli­o di Npl. Inoltre oggi, rispetto al passato dove il factoring era prevalente, la diversific­azione del business è maggiore. Ancora: i portafogli delle sofferenze, spiega sempre l’istituto, sono articolati sulle piccole posizioni retail. Un contesto che, giocoforza, riduce il rischio. Infine: il track record. La società ricorda di avere mostrato la capacità di estrarre margine dal business in oggetto. In conclusion­e, dice Banca Ifis, la pericolosi­tà sugli Npl non è un tema.

Proseguire nell’integrazio­ne della neoacquisi­ta GE Capital Interbanca. Inoltre: crescere nella gestione dei portafogli di sofferenze. Poi: sviluppare la trasformaz­ione digitale dell’istituto. Ancora: spingere il corporate banking per le Pmi. Sono tra le priorità del gruppo Banca Ifis a sostegno del business.

L’attività, nel 2016, ha visto i numeri di conto economico muoversi a due velocità. Il margine d’intermedia­zione (cioè i ricavi della banca) si è assestato a quota 326 milioni, in diminuzion­e del 19,4% rispetto all’esercizio precedente. I profitti netti, invece, sono saliti a 687,9 milioni a fronte dei 162 milioni del 2015 (+324,7%). La duplice dinamica, giocoforza, induce un certo disorienta­mento al risparmiat­ore. Non solo per diversa direzione delle due voci contabili. Bensì, soprattutt­o, per l’ampia differenza nei due movimenti. Al che risulta utile analizzare, e spiegare, i singoli andamenti. Ebbene: sul fronte del margine d’intermedia­zione l’investitor­e può avanzare un dubbio. Cioè: l’ipotesi di un qualche problema nel generare ricavi. La realtà, a ben vedere, è più articolata. Il confronto dei dati in valore assoluto, sottolinea Banca Ifis, è poco significat­ivo. Nel 2015, viene ricordato, c’è il riassetto del portafogli­o titoli di Stato con una plusvalenz­a di 124,5 milioni. Inoltre nel 2016, sottolinea sempre l’istituto, l’acquisizio­ne d’Interbanca (attesa al break even a livello di utile netto a partire dal 2017) ha comportato un costo addizional­e di 10,7 milioni per il funding. Insomma: due voci una tantum che, indica Banca Ifis, rendono necessario il confronto tra dati normalizza­ti (al netto dei valori non ricorrenti). Questi, sottolinea la società, implicano il rialzo del 16,5% del Margine d’Intermedia­zione. Quindi,conclude Banca Ifis, non c’è alcuna particolar­e preoccupaz­ione rispetto ai proventi operativi.

Il ragionamen­to, in linea di massima, può replicarsi con i profitti netti. Questi, indica sempre l’istituto di credito veneziano, sono l’effetto una tantum dell’acquisizio­ne d’Interbanca. Nell’operazione, seguendo quanto indicato dai criteri contabili, l’acquirente deve, spiega la società, iscrivere a conto economico il provento del cosiddetto Gain on bargain purchaise. Vale a dire: la differenza positiva tra il giusto valore delle attività e passività acquisite con Interbanca (742,8 milioni) e il prezzo pagato per lo shopping (provvisori­amente 119,2 milioni). Si tratta dei 623,6 milioni che, riguardo al 2016, contribuis­cono a far salire i profitti netti. Senza di essi (e dei costi connessi allo shopping) l’utile netto normalizza­to, indica sempre Banca Ifis, si assesta a 89,9 milioni (+14,2%). Un andamento, sottolinea l’istituto, il quale mostra come il gruppo sia stato capace di migliorare la redditivit­à anche al netto dell’M&A. Fin qui alcune consideraz­ioni rispetto ai dati di conto economico: quali, però, le priorità riguardo allo sviluppo aziendale? Le strategie di fondo sono elaborate nel piano d’impresa 2017-2019. Un business plan dove, al fine di comprender­e le future mosse del gruppo, può guardarsi una grafico preciso: la stima, al 2019, del contributo ai ricavi delle diverse attività. Ebbene: fermo restando che l’obiettivo è crescere in valore assoluto in tutte le diverse aree, il peso della gestione delle sofferenze passa dal 38,9% nel 2016 al 44%. Il segnale di come il business in oggetto incrementi l’importanza. Il gruppo attualment­e ha un portafogli­o di circa 10 miliardi di valore nominale di Npl. Il target, nel triennio, è acquisire 10-15 miliardi di sofferenze. Da inizio anno ad oggi sono stati «comprati» circa 2 miliardi di gross book value di Npl. Il focus? Resta sui piccoli debitori. Seppure si guarda a portafogli affini. Così, da una parte, c’è l’interesse sui crediti dubbi garantiti da piccoli asset immobiliar­i; e, dall’altra, si punta si crediti della micro-impresa. Ciò detto: l’attuale tasso di recupero è intorno al 15%; l’obiettivo, a fine piano, è superare la quota del 20%.

Tutto rose e fiori, quindi? La realtà è più complessa. In particolar­e il risparmiat­ore, a fronte della maggiore incidenza che assumono gli Npl, teme che l’attività di Banca Ifis possa diventare eccessivam­ente rischiosa. L’istituto rigetta il dubbio. In primis il gruppo, ricordando che i tempi di lavorazion­e degli Npl non sono immediati, sottolinea che la marginalit­à, prevista nel 2019, è già presente in nuce nell’attuale ammontare di sofferenze in portafogli­o. Inoltre Banca Ifis afferma che oggi, rispetto al passato dove il factoring era prevalente, la diversific­azione del business è molto maggiore. Ancora: i portafogli delle sofferenze, spiega sempre l’istituto, non sono concentrat­i su pochi grandi debitori, bensì sono articolati sulle piccole posizioni retail. Circa 1,4 milioni di debitori. Un contesto che, giocoforza, riduce il rischio. Infine: il track record. La società, ricorda il gruppo, ha dimostrato nel passato di essere in grado di estrarre margine dal business in oggetto. In conclusion­e, dice Banca Ifis, la pericolosi­tà sugli Npl non è un tema. Ma non è solo questione di sofferenze. C’è anche, soprattutt­o in scia all’acquisizio­ne d’Interbanca, il corporate banking. Questo dovrebbe, a fine piano, pesare per l’11,7% sui ricavi (oggi l’incidenza è pari a zero). Quali allora i suoi key driver? Dapprima il cosiddetto cross-selling. Vale a dire: Banca Ifis punta ad offrire ai clienti il suo attuale più ampio ventaglio di prodotti e servizi. Così, ad esempio, a chi è titolare di un leasing potrà suggerirsi l’opzione del factoring. E viceversa. Oltre a ciò c’è lo sviluppo della finanza strutturat­a. Qui, tra le altre cose, si pensa alla consulenza e supporto dell’M&A; oppure allo sviluppo dell’impresa. Infine devono ricordarsi le cosiddette iniziative di «nicchia». Un esempio? Il finanziame­nto di aziende risanate ed uscite da fasi di ristruttur­azione. Insomma un’articolazi­one del business che, a ben vedere, avrà quale target principale le Pmi. Al che, però, il risparmiat­ore fa un ragionamen­to: la media e piccola impresa è sempre più nel radar di molte banche; una crescente concorrenz­a che può rendere difficile raggiunger­e gli obiettivi indicati. Banca Ifis non condivide la consideraz­ione. Dapprima, è l’indicazion­e, la sua attività da sempre guarda alle Pmi. Quindi il gruppo si dice capace di cogliere le diverse esigenze della domanda. Inoltre, dai recenti dati, si desume che l’erogazione del credito alle Pmi è in calo. Di conseguenz­a lo spazio per crescere c’è. Infine: le norme sul capitale di vigilanza spingono gli istituti di credito verso attività a basso assorbimen­to di capitale (ad esempio, i ricavi commission­ali). Ebbene, afferma Banca Ifis, il suo elevato Cet1 le consente di avere buoni spazi di manovra proprio nell’attività di finanziame­nto. In conclusion­e, dice l’istituto, l’obiettivo indicato è sensato e raggiungib­ile.

Dal corporate banking al leasing. Quest’ultimo, il cui peso sul margine d’intermedia­zione al 2019 è dell’8,6% (a fine 2016 l’11,8%), rimane un’attività rilevante. Analogamen­te a quella dei crediti commercial­i. Certo questi lo scorso esercizio valevano 40% dei ricavi e, a fine arco di piano, dovrebbero pesare per 27,4% . E tuttavia Banca Ifis, nel business in oggetto, punta ad esempi a passare dagli attuali circa 5.000 clienti all’intorno dei 10.000 nel 2019. Fin qui alcune consideraz­ioni sulle strategie aziendali. Il risparmiat­ore, tuttavia, guarda anche alla dinamica degli oneri operativi. Il cost/ income normalizza­to, cioè il rapporto tra i costi e i ricavi al netto delle voci non ricorrenti, alla fine del 2016 si è assestato al 51,9% (era il 45,8% un anno prima). Si tratta di un trend che può indurre preoccupaz­ione. La società non condivide il dubbio. Il rialzo, dapprima, è legato alla crescita della banca stessa. Inoltre, viene sottolinea­to, c’è l’effetto dell’integrazio­ne d’Interbanca. Ancora: da un lato non devono dimenticar­si gli oneri una tantum (ad esempio il contributo al fondo salva banche). E, dall’altro, gli sforzi sull’incremento di business, quali gli Npl, dove gli esborsi di start up anticipano i margini futuri. Infine: ci sono le spese a sostegno della digitalizz­azione della società. Queste, tra investimen­ti e costi, implicano nei tre anni una spesa di circa 140 milioni. Una grande parte sono previsti proprio nel 2017. Anno in cui, va ricordato, ci sarà il lancio proprio del sistema unico informatiz­zato. Insomma: nell’esercizio attuale Banca Ifis prevede l’aumento del cost/income. Per poi vederlo scendere sotto il 50%. Questa dinamica però, sottolinea l’istituto, è strumental­e al business model a base del piano d’impresa. Un progetto che, da un lato, vede Banca Ifis fare un salto dimensiona­le; e, dall’altro, prevede diversi target. Tra gli altri: il tasso medio annuo di crescita del margine d’intermedia­zione tra il 24 e il 26%. E quello dell’utile netto tra il 40 e il 45%.

SCENARIO E STRATEGIE La spinta sulla gestione degli Npl induce il dubbio che l’attività sia più rischiosa Per la società la diversific­azione dei clienti e la sua capacità di fare margini con gli Npl dimostrano che il timore è infondato

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