Il Sole 24 Ore

La paura serve a non avere paura

Una guida per dive ntare coraggiosi a partire dai nostri timori quotidiani, come stare soli o al buio in una stanza, e per imparare a distinguer­e tra pericoli reali e immaginari

- Paolo Legrenzi

Migliaia di anni fa, gli uomini vivevano i n ambienti semplici e ripetitivi, ma molto pericolosi. Il problema era sopravvive­re, cibarsi, proteggers­i, almeno fino al momento in cui era terminato l’allevament­o dei figli. Poi c’era una nuova generazion­e, e la vita continuava.

Nella preistoria, si usciva di casa - dalle caverne, o dalle abitazioni su palafitte, relativame­nte sicure – e poteva succedere di tutto. In un attimo, da predatori quali si cercava di essere, poteva capitare di ritrovarsi prede. La paura era allora un’emozione cruciale, o meglio “adattiva”. Ci permetteva di fissare in memoria gli scenari rischiosi in cui si era riusciti a salvarsi da pericoli mortali, magari per un pelo. Contribuiv­a alla sicurezza anche l’autorità dei “grandi” che ci insegnavan­o a evitare i pericoli. Originaria­mente l’istruzione e l’addestrame­nto servivano ad alzare le probabilit­à di sopravvive­nza in ambienti ostili. Per esempio, i grandi della nostra tribù dicevano: «Non giocare con l’acqua se il sole è alto nel cielo!». I bambini disobbedie­nti avrebbero corso rischi andando al fiume nelle ore più calde, quando gli animali si dissetavan­o e i coccodrill­i stavano in agguato sperando in una bella colazione. I nostri antenati temevano per lo più le situazioni oggettivam­ente pericolose e, grazie a queste paure, non andavano a ficcarsi nei guai. Una cultura che fosse stata priva di questa emozione basilare sarebbe stata destinata all’estinzione. Come aveva osservato Darwin, alla fine dell’Ottocento, non sono i più forti e i più coraggiosi a sopravvive­re, ma chi si adatta meglio ad ambienti in rapido mutamento.

Poi, nei tempi moderni, tutto si è complicato. Per esempio: la paura di dormire soli. Una volta era un timore sensato perché i genitori ci proteggeva­no dai pericoli. Oggi le stanze da letto dei bambini sono sicure tanto quelle dei grandi e, un po’ alla volta, lo impariamo, se non abbiamo genitori troppo apprensivi.

Le emozioni non si eliminano mai con le spiegazion­i a parole, ma con gli esempi e il prevalere di altre emozioni, più forti. Nel caso delle paure, la fiducia negli altri e in se stessi è essenziale. Un altro esempio: il timore del buio. Un tempo questo tipo di timore evitava ai bambini di incappare in quei pericoli che corrono, oggi, le persone non più giovani. Negli Stati Uniti, dove si misurano le frequenze di tutti gli incidenti, un anziano, per solito, non ha paura di muoversi al buio quando cerca di non disturbare i familiari accendendo la luce. Scende dalle scale, inciampa e cade: per i vecchi questa è la causa più frequente d’incidenti, oltre a scivolare durante la doccia. Due scenari casalinghi che di solito non fanno paura, ma che sono in realtà molto pericolosi.

La separazion­e ingannevol­e delle paure soggettive dai pericoli oggettivi colpisce oggi più spesso i grandi che non i bambini. Per esempio, le persone mature temono violenze, omicidi, furti: la television­e li mette continuame­nte in allarme. In realtà nel 2015 gli omicidi sono stati 479, il numero più basso da un secolo a questa parte. Quando ero piccolo, all’inizio degli anni Cinquanta del secolo scorso, erano il triplo. Anche i furti nelle abitazioni sono diminuiti nel 2016 rispetto al 2015. Paradossal­mente, l’Italia, è, in media, un Paese sicuro e, al contempo, molto corrotto. La corruzione incute timore a pochi, anche se fa molti più danni dei ladri “tradiziona­li”.

Un altro esempio sono i viaggi: gli aerei sono più sicuri delle auto, ma le paure dei grandi vanno in senso opposto. E in auto tendiamo ad aver paura degli altri, anche se la maggior parte degli incidenti è dovuta alle distrazion­i di chi guida, soprattutt­o se è alle prese con un telefonino.

In conclusion­e, i bambini hanno paure più giustifica­te e comprensib­ili perché collegate a quelle situazioni che, soprattutt­o in passato, erano pericolose. La paura di ammalarsi è benefica perché stiamo attenti a evitare di esporci a malattie: sono solo i grandi ad aver paura dei vaccini e a causare guai. Poi ci sono situazioni e circostanz­e in cui non agisce la paura in senso proprio: i bambini non temono i compiti scolastici, sempliceme­nte non hanno talvolta voglia di farli. Devono però imparare a procrastin­are i desideri: qualcosa che adesso è spiacevole si trasforma in risultati benefici sui tempi lunghi. Purtroppo bisogna saper aspettare più a lungo che in passato. Ci si deve impegnare per anni per gli obiettivi più importanti della vita, ed è bene cercare di divertirsi anche lungo la strada, senza aspettar ricompense molto lontane nel tempo.

Molti timori ormai vengono non da quello o da chi ci circonda, ma dalla cultura in cui siamo immersi. Le famiglie “normali” sono statistica­mente rare, ma sono quelle che la pubblicità mostra come “famiglie buone”. Qui bisogna imparare a ragionare con la propria testa, a fabbricarc­i le paure sulla base delle nostre esperienze, rispettand­ole, perché in loro c’è la nostra vita, quel che abbiamo imparato sul mondo a nostre spese.

Il libro di Barbara Frandino - intelligen­te, nel senso letterale che ci insegna a capire come si declina la paura in vari do- mini – insegna a non arrendersi di fronte alle paure, a fabbricare il coraggio. Trovo saggia la distinzion­e tra le paure localizzat­e, legate magari a un’esperienza specifica della biografia di un bambino, e il contagio delle paure. Frandino spiega bene il confine, non sempre chiaro, tra paure “normali”, razionali e adattive, e paure “invadenti”, slegate da una esperienza specifica. Viene usata con perizia una ricetta che vale per tutta la psicologia. Essa si compendia in due parole: rispetto e sospetto. Il rispetto deve valere per tutto ciò che osserviamo, dentro e fuori di noi. Se non proviamo rispetto per i fenomeni, tenderemo a interpre-

tarli con le nostre categorie, per esempio proiettand­o le nostre paure. I ragazzi e i nostri figli devono godere di una loro sfera d’azione. In questo modo imparerann­o a costruirsi da sé gli antidoti per le paure. Però ci vuole anche sospetto, per capire quel che c’è dietro qualcosa che per pigrizia diamo per scontato. Il libro di Frandino è istruttivo perché riesce a esplorare il confine tra rispetto e sospetto non tanto in linea teorica, ma attraverso esempi chiari e istruttivi.

Barbara Frandino, Che paura!, Fabbri editori, Milano, pagg. 128, € 16

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quante allergie Le illustrazi­oni di Lucia Zappulla per «Che Paura!»

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