La paura serve a non avere paura
Una guida per dive ntare coraggiosi a partire dai nostri timori quotidiani, come stare soli o al buio in una stanza, e per imparare a distinguere tra pericoli reali e immaginari
Migliaia di anni fa, gli uomini vivevano i n ambienti semplici e ripetitivi, ma molto pericolosi. Il problema era sopravvivere, cibarsi, proteggersi, almeno fino al momento in cui era terminato l’allevamento dei figli. Poi c’era una nuova generazione, e la vita continuava.
Nella preistoria, si usciva di casa - dalle caverne, o dalle abitazioni su palafitte, relativamente sicure – e poteva succedere di tutto. In un attimo, da predatori quali si cercava di essere, poteva capitare di ritrovarsi prede. La paura era allora un’emozione cruciale, o meglio “adattiva”. Ci permetteva di fissare in memoria gli scenari rischiosi in cui si era riusciti a salvarsi da pericoli mortali, magari per un pelo. Contribuiva alla sicurezza anche l’autorità dei “grandi” che ci insegnavano a evitare i pericoli. Originariamente l’istruzione e l’addestramento servivano ad alzare le probabilità di sopravvivenza in ambienti ostili. Per esempio, i grandi della nostra tribù dicevano: «Non giocare con l’acqua se il sole è alto nel cielo!». I bambini disobbedienti avrebbero corso rischi andando al fiume nelle ore più calde, quando gli animali si dissetavano e i coccodrilli stavano in agguato sperando in una bella colazione. I nostri antenati temevano per lo più le situazioni oggettivamente pericolose e, grazie a queste paure, non andavano a ficcarsi nei guai. Una cultura che fosse stata priva di questa emozione basilare sarebbe stata destinata all’estinzione. Come aveva osservato Darwin, alla fine dell’Ottocento, non sono i più forti e i più coraggiosi a sopravvivere, ma chi si adatta meglio ad ambienti in rapido mutamento.
Poi, nei tempi moderni, tutto si è complicato. Per esempio: la paura di dormire soli. Una volta era un timore sensato perché i genitori ci proteggevano dai pericoli. Oggi le stanze da letto dei bambini sono sicure tanto quelle dei grandi e, un po’ alla volta, lo impariamo, se non abbiamo genitori troppo apprensivi.
Le emozioni non si eliminano mai con le spiegazioni a parole, ma con gli esempi e il prevalere di altre emozioni, più forti. Nel caso delle paure, la fiducia negli altri e in se stessi è essenziale. Un altro esempio: il timore del buio. Un tempo questo tipo di timore evitava ai bambini di incappare in quei pericoli che corrono, oggi, le persone non più giovani. Negli Stati Uniti, dove si misurano le frequenze di tutti gli incidenti, un anziano, per solito, non ha paura di muoversi al buio quando cerca di non disturbare i familiari accendendo la luce. Scende dalle scale, inciampa e cade: per i vecchi questa è la causa più frequente d’incidenti, oltre a scivolare durante la doccia. Due scenari casalinghi che di solito non fanno paura, ma che sono in realtà molto pericolosi.
La separazione ingannevole delle paure soggettive dai pericoli oggettivi colpisce oggi più spesso i grandi che non i bambini. Per esempio, le persone mature temono violenze, omicidi, furti: la televisione li mette continuamente in allarme. In realtà nel 2015 gli omicidi sono stati 479, il numero più basso da un secolo a questa parte. Quando ero piccolo, all’inizio degli anni Cinquanta del secolo scorso, erano il triplo. Anche i furti nelle abitazioni sono diminuiti nel 2016 rispetto al 2015. Paradossalmente, l’Italia, è, in media, un Paese sicuro e, al contempo, molto corrotto. La corruzione incute timore a pochi, anche se fa molti più danni dei ladri “tradizionali”.
Un altro esempio sono i viaggi: gli aerei sono più sicuri delle auto, ma le paure dei grandi vanno in senso opposto. E in auto tendiamo ad aver paura degli altri, anche se la maggior parte degli incidenti è dovuta alle distrazioni di chi guida, soprattutto se è alle prese con un telefonino.
In conclusione, i bambini hanno paure più giustificate e comprensibili perché collegate a quelle situazioni che, soprattutto in passato, erano pericolose. La paura di ammalarsi è benefica perché stiamo attenti a evitare di esporci a malattie: sono solo i grandi ad aver paura dei vaccini e a causare guai. Poi ci sono situazioni e circostanze in cui non agisce la paura in senso proprio: i bambini non temono i compiti scolastici, semplicemente non hanno talvolta voglia di farli. Devono però imparare a procrastinare i desideri: qualcosa che adesso è spiacevole si trasforma in risultati benefici sui tempi lunghi. Purtroppo bisogna saper aspettare più a lungo che in passato. Ci si deve impegnare per anni per gli obiettivi più importanti della vita, ed è bene cercare di divertirsi anche lungo la strada, senza aspettar ricompense molto lontane nel tempo.
Molti timori ormai vengono non da quello o da chi ci circonda, ma dalla cultura in cui siamo immersi. Le famiglie “normali” sono statisticamente rare, ma sono quelle che la pubblicità mostra come “famiglie buone”. Qui bisogna imparare a ragionare con la propria testa, a fabbricarci le paure sulla base delle nostre esperienze, rispettandole, perché in loro c’è la nostra vita, quel che abbiamo imparato sul mondo a nostre spese.
Il libro di Barbara Frandino - intelligente, nel senso letterale che ci insegna a capire come si declina la paura in vari do- mini – insegna a non arrendersi di fronte alle paure, a fabbricare il coraggio. Trovo saggia la distinzione tra le paure localizzate, legate magari a un’esperienza specifica della biografia di un bambino, e il contagio delle paure. Frandino spiega bene il confine, non sempre chiaro, tra paure “normali”, razionali e adattive, e paure “invadenti”, slegate da una esperienza specifica. Viene usata con perizia una ricetta che vale per tutta la psicologia. Essa si compendia in due parole: rispetto e sospetto. Il rispetto deve valere per tutto ciò che osserviamo, dentro e fuori di noi. Se non proviamo rispetto per i fenomeni, tenderemo a interpre-
tarli con le nostre categorie, per esempio proiettando le nostre paure. I ragazzi e i nostri figli devono godere di una loro sfera d’azione. In questo modo impareranno a costruirsi da sé gli antidoti per le paure. Però ci vuole anche sospetto, per capire quel che c’è dietro qualcosa che per pigrizia diamo per scontato. Il libro di Frandino è istruttivo perché riesce a esplorare il confine tra rispetto e sospetto non tanto in linea teorica, ma attraverso esempi chiari e istruttivi.
Barbara Frandino, Che paura!, Fabbri editori, Milano, pagg. 128, € 16