S
criveva alla fine del Settecento l’abate Luigi Lanzi, chi miri a divenir conoscitore «negli studi notturni rivolga stampe, rivolgale ne’ diurni». Cavalcaselle traeva appunti grafici minuziosi da tutti i dipinti che studiava. Poi vennero le fotografie e per più di un secolo questo è stato lo strumento basilare su cui intere generazioni di storici dell’arte hanno lavorato quotidianamente, cercando collegamenti e verificando i confronti. Come diceva Berenson, vince chi ha più fotografie. Ora che il web offre un bacino sterminato di immagini di ogni sorta rischiamo di non afferrare l’importanza capitale degli archivi fotografici, che raccolgono testimonianze rare ed insostituibili, documentando stati diversi dei dipinti, restauri e manomissioni, opere non più riemerse, e via dicendo. La fototeca di Everett Fahy, dopo quella di Federico Zeri, è sicuramente il fondo più importante che un singolo studioso abbia mai raccolto sulla pittura italiana tra il Due e il Cinquecento. La sua destinazione alla Fondazione Zeri, presso l’Università di Bologna, già operativa, è allora una grande notizia. La scansione e catalogazione di queste foto permetterà di arricchire la miniera già disponibile online, frequentata assiduamente ogni giorno da tantissimi studiosi, vecchi e giovani, sul sito della Fondazione Zeri. La scelta di Everett Fahy conferma il prestigio internazionale della Fondazione e premia il lavoro che con tenacia è stato fatto da anni presso il chiostro di Santa Cristina. Per chi frequenti gli studi sulla pittura italiana antica il suo nome è assai familiare. Curatore prima della Frick Art Collection e poi del Department of European Paintings del Metropolitan Museum a New York, Everett Fahy si è segnalato fin dagli anni sessanta, frequentando al di là di ogni settarismo le cerchie opposte di Berenson e di Longhi, Federico Zeri e John Pope-Hennessy, affermandosi come conoscitore versatile e acutissimo, in grado di spaziare ben oltre il campo in cui aveva svolto il suo dottorato, Domenico Ghirlandaio and his Followers. Viaggiatore instancabile, dispensa segnalazioni ai curatori di museo e ai giovani ricercatori, con generosità incredibile. Appena sa che qualcuno studia qualche artista su cui ha in serbo delle novità non esita a scrivergli e a trasmettergliele. Le sue precisazioni attributive sono riportate nei cataloghi dei musei, nei cataloghi d’asta di Sotheby’s e Christie’s, nelle note di infinite pubblicazioni. Come Zeri, suo maestro a Harvard, ha dedicato energie enormi alla raccolta puntigliosa di dati e informazioni sul retro delle sue fotografie, che per questo sono così preziose. Come un segugio ha inseguito le foto di opere rare o inedite, presso i collezionisti e gli antiquari, nei più sperduti musei d’America e del mondo. Non ha pubblicato veri e propri libri (a parte la sua tesi di Ph. D., 1976, e il catalogo della mostra The Legacy
, 1979, che rimane una delle migliori introduzioni alla maniera moderna), ma tante schede e segnalazioni, e alcuni articoli capitali, come quelli in cui ricostruì per la prima volta la giovinezza di Fra Bartolomeo ( The beginnings of Fra Bartolomeo , in «The Burlington Magazine», 1966, e The earliest works of Fra Bartolomeo , in «The Art Bulletin», 1969), l’unico pittore fiorentino che negli anni novanta del Quattrocento seppe confrontarsi in maniera originale con gli studi di luce leonardeschi, articoli che sono lucidi esempi di metodo e la cui lettura va consigliata ad ogni aspirante storico dell’arte. In segno di gratitudine la Fondazione Zeri sta preparando un’edizione dei suoi scritti più importanti sulla pittura del Rinascimento, in cui sarà inclusa anche una sua importante scoperta michelangiolesca, ancora inedita. Famose e utilissime le sue liste, liberalmente dispensate, costantemente aggiornate, su modello di quelle berensoniane, per cui si potranno prospettare forme di pubbli- cazione online. Nonostante gli studi prevalenti sulla pittura toscana la sua fototeca testimonia curiosità vastissime, per ogni scuola regionale. Ho conosciuto pochi storici dell’arte stranieri che potessero vantare una conoscenza così capillare dell’Italia minore, borgo per borgo, maturata anno dopo anno, fin da quando da ragazzo scoprì Orvieto, conquistandola dopo una lunga camminata a piedi. Agli amici ama per vezzo spedire cartoline storiche, comprate venti-trent’anni prima nei posti più incredibili, e le seleziona scherzosamente secondo gli interessi di ognuno. Ho avuto la fortuna di accompagnarlo in alcuni viaggi attraverso le Marche e gli Abruzzi. Nel museino di Montefortino identificò un bozzetto di Pierre Subleyras: non l’ha mai pubblicato, ma lasciò sul cartellino erroneo il suo biglietto da visita con l’attribuzione giusta. L’onestà degli studi viene prima di tutto per lui: quando Boskovits gli emendò un’attribuzione non esitò a pubblicare l’errata corrige, Second thoughts about the Artaud de Montor Madonna (in «The Bulletin of the Cleveland Museum of Art», 1971). Non so quanti altri l’avrebbero fatto. Un tratto antico di gentilezza nutre il suo amore per il nostro paese e per il suo patrimonio. Affabile ed elegante, mai ciarliero, vuole sempre conoscere d e v i s u, vedere e rivedere, verificare, rifuggendo i convegni e le facili ribalte, muovendosi su un altro piano. Le sue foto e i suoi appunti, raccolti dalla Fondazione Zeri, potranno così continuare a fruttificare e a trasmettere ai giovani il senso profondo del lavoro di una vita.