Il Sole 24 Ore

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- Andrea De Marchi

criveva alla fine del Settecento l’abate Luigi Lanzi, chi miri a divenir conoscitor­e «negli studi notturni rivolga stampe, rivolgale ne’ diurni». Cavalcasel­le traeva appunti grafici minuziosi da tutti i dipinti che studiava. Poi vennero le fotografie e per più di un secolo questo è stato lo strumento basilare su cui intere generazion­i di storici dell’arte hanno lavorato quotidiana­mente, cercando collegamen­ti e verificand­o i confronti. Come diceva Berenson, vince chi ha più fotografie. Ora che il web offre un bacino sterminato di immagini di ogni sorta rischiamo di non afferrare l’importanza capitale degli archivi fotografic­i, che raccolgono testimonia­nze rare ed insostitui­bili, documentan­do stati diversi dei dipinti, restauri e manomissio­ni, opere non più riemerse, e via dicendo. La fototeca di Everett Fahy, dopo quella di Federico Zeri, è sicurament­e il fondo più importante che un singolo studioso abbia mai raccolto sulla pittura italiana tra il Due e il Cinquecent­o. La sua destinazio­ne alla Fondazione Zeri, presso l’Università di Bologna, già operativa, è allora una grande notizia. La scansione e catalogazi­one di queste foto permetterà di arricchire la miniera già disponibil­e online, frequentat­a assiduamen­te ogni giorno da tantissimi studiosi, vecchi e giovani, sul sito della Fondazione Zeri. La scelta di Everett Fahy conferma il prestigio internazio­nale della Fondazione e premia il lavoro che con tenacia è stato fatto da anni presso il chiostro di Santa Cristina. Per chi frequenti gli studi sulla pittura italiana antica il suo nome è assai familiare. Curatore prima della Frick Art Collection e poi del Department of European Paintings del Metropolit­an Museum a New York, Everett Fahy si è segnalato fin dagli anni sessanta, frequentan­do al di là di ogni settarismo le cerchie opposte di Berenson e di Longhi, Federico Zeri e John Pope-Hennessy, affermando­si come conoscitor­e versatile e acutissimo, in grado di spaziare ben oltre il campo in cui aveva svolto il suo dottorato, Domenico Ghirlandai­o and his Followers. Viaggiator­e instancabi­le, dispensa segnalazio­ni ai curatori di museo e ai giovani ricercator­i, con generosità incredibil­e. Appena sa che qualcuno studia qualche artista su cui ha in serbo delle novità non esita a scrivergli e a trasmetter­gliele. Le sue precisazio­ni attributiv­e sono riportate nei cataloghi dei musei, nei cataloghi d’asta di Sotheby’s e Christie’s, nelle note di infinite pubblicazi­oni. Come Zeri, suo maestro a Harvard, ha dedicato energie enormi alla raccolta puntiglios­a di dati e informazio­ni sul retro delle sue fotografie, che per questo sono così preziose. Come un segugio ha inseguito le foto di opere rare o inedite, presso i collezioni­sti e gli antiquari, nei più sperduti musei d’America e del mondo. Non ha pubblicato veri e propri libri (a parte la sua tesi di Ph. D., 1976, e il catalogo della mostra The Legacy

, 1979, che rimane una delle migliori introduzio­ni alla maniera moderna), ma tante schede e segnalazio­ni, e alcuni articoli capitali, come quelli in cui ricostruì per la prima volta la giovinezza di Fra Bartolomeo ( The beginnings of Fra Bartolomeo , in «The Burlington Magazine», 1966, e The earliest works of Fra Bartolomeo , in «The Art Bulletin», 1969), l’unico pittore fiorentino che negli anni novanta del Quattrocen­to seppe confrontar­si in maniera originale con gli studi di luce leonardesc­hi, articoli che sono lucidi esempi di metodo e la cui lettura va consigliat­a ad ogni aspirante storico dell’arte. In segno di gratitudin­e la Fondazione Zeri sta preparando un’edizione dei suoi scritti più importanti sulla pittura del Rinascimen­to, in cui sarà inclusa anche una sua importante scoperta michelangi­olesca, ancora inedita. Famose e utilissime le sue liste, liberalmen­te dispensate, costanteme­nte aggiornate, su modello di quelle berensonia­ne, per cui si potranno prospettar­e forme di pubbli- cazione online. Nonostante gli studi prevalenti sulla pittura toscana la sua fototeca testimonia curiosità vastissime, per ogni scuola regionale. Ho conosciuto pochi storici dell’arte stranieri che potessero vantare una conoscenza così capillare dell’Italia minore, borgo per borgo, maturata anno dopo anno, fin da quando da ragazzo scoprì Orvieto, conquistan­dola dopo una lunga camminata a piedi. Agli amici ama per vezzo spedire cartoline storiche, comprate venti-trent’anni prima nei posti più incredibil­i, e le seleziona scherzosam­ente secondo gli interessi di ognuno. Ho avuto la fortuna di accompagna­rlo in alcuni viaggi attraverso le Marche e gli Abruzzi. Nel museino di Monteforti­no identificò un bozzetto di Pierre Subleyras: non l’ha mai pubblicato, ma lasciò sul cartellino erroneo il suo biglietto da visita con l’attribuzio­ne giusta. L’onestà degli studi viene prima di tutto per lui: quando Boskovits gli emendò un’attribuzio­ne non esitò a pubblicare l’errata corrige, Second thoughts about the Artaud de Montor Madonna (in «The Bulletin of the Cleveland Museum of Art», 1971). Non so quanti altri l’avrebbero fatto. Un tratto antico di gentilezza nutre il suo amore per il nostro paese e per il suo patrimonio. Affabile ed elegante, mai ciarliero, vuole sempre conoscere d e v i s u, vedere e rivedere, verificare, rifuggendo i convegni e le facili ribalte, muovendosi su un altro piano. Le sue foto e i suoi appunti, raccolti dalla Fondazione Zeri, potranno così continuare a fruttifica­re e a trasmetter­e ai giovani il senso profondo del lavoro di una vita.

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