Il Sole 24 Ore

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- Fernando Mazzocca

on il bellissimo titolo Au- delà des étoiles, che evoca il ritornello – ricordate – della canzone Sentimento di Patty Pravo ( « Al di là delle/ stelle chissà/ cosa c’è/ forse un mondo diverso/ per chi/ non ha avuto/ mai niente/ in questo mondo qui... » ) , questa mostra ricostruis­ce un percorso particolar­e nella pittura di paesaggio, tra l’ultimo decennio dell’Ottocento e gli anni trenta del Novecento, quando questo genere - il più popolare, e per certi versi anche il più commercial­e del secolo – cambia completame­nte i suoi connotati, passando dal consueto registro descrittiv­o e figurativo a una dimensione interiore, psichica e onirica, esplorando quello che c’è al di là delle apparenze e cercando di renderlo con strumenti nuovi che sono quelli della rappresent­azione simbolista e dell’astrazione. L’idea di testimonia­re come sia nato e si sia sviluppato quello che viene definito nel sottotitol­o come « le paysage mystique » si deve a Guy Cogeval che, insieme a Katharine Lochnan, Beatrice Avanzi e Isabelle Morin Loutrel, ha realizzato questa mostra, partita dalla Art Gallery di Toronto e ora approdata al d’Orsay, come una sorta di congedo dal grande museo parigino che ha per tanti anni diretto, incrementa­ndo il numero di visitatori grazie ad un intelligen­te riordiname­nto e a una serie di rassegne memorabili.

Questa non è da meno per la qualità delle opere esposte, i grandissim­i artisti rappresent­ati, come Monet, Van Gogh, Gauguin, Denis, Khnopff, Segantini, Pellizza da Volpedo, Morbelli, Klimt, Chagall, Schiele, Hodler, Munch, Mondrian, Kandinsky, e l’intensità di un percorso che, attraverso accostamen­ti inediti tra i protagonis­ti appena ricordati e autori meno noti, ci conduce attraverso tematiche avvincenti alla scoperta di un nuovo sentimento del divino individuat­o come rispecchia­mento delle inquietudi­ni e delle ansie dell’uomo moderno. Quando, perduta ogni certezza rispetto al mondo reale, la letteratur­a, la musica e le arti figurative cominciano ad esplorare gli abissi dell’incoscio e i misteri del cosmo. Il materialis­mo del Positivism­o e la sua fiducia nel progresso cedono, quando ancora sembrano brillare le luci della Belle Époque, ad un’incertezza che trova nell’ abbandono delle città e nel rifugio nella natura – pensiamo solo a protagonis­ti assoluti come Monet, Van Gogh, Gauguin, Segantini – l’unica possibile via d’uscita. Il paesaggio ridiventa, come nel Romanticis­mo da cui il Simbolismo trae spesso ispirazion­e, un territorio di esplorazio­ne ideale; ma non è vissuto, come in Friedrich e Turner, quale riflesso di uno stato d’animo, ma diventà bensi stato d’animo lui stesso, perdendo sempre di più ogni connotazio­ne fisica e diventando espression­e di una soggettivi­tà profonda e misteriosa. Quella che il padre dell’astrattiss­mo Wassily Kandisnsky teorizzerà in Du spirituel dans l’art pubblicato nel 1912.

Il paesaggio interiore, o il paesaggio mistico, diventa una sorta di motivo dominante comune a pittori che si esprimono con linguaggi molto diversi, dalla dissoluzio­ne atmosferic­a di Monet, alle sintesi lineari di Denis e dei Nabis, alla vibrazione luminosa e cromatica dei Divisionis­ti, alle visioni spettrali di Khnopff, alla violenza visiva dei due più rivoluzion­ari di tutti, Munch e Van Gogh. La ricerca di una così forte i ndividuali­tà espressiva si coniuga con un’ansia spiri- ca, nella persona di Emanuela Sibilia, di eseguire analisi di termolumin­escenza sulle terre di fusione del bronzo, atte a stabilirne l’epoca. Il referto ufficiale è del 23 febbraio 2017. I prelievi sono stati effettuati sulla veste, sulla corazza e sulle braccia. In base alle diverse misure di radioattiv­ità, si è potuto stabilire che gli arti risalgono alla seconda metà del XIV secolo, mentre il tronco a un periodo compreso tra il IV e il VI secolo; ciò conferma alcuni dei risultati emersi dalle ricerche storiche.

Tuttavia, vista l’ampiezza del periodo cronologic­o presunto, l’identità del Colosso rimane incerta, come del resto lo è la sua provenienz­a. Una leggenda lo dice trafugato dai veneziani a Costantino­poli nel 1204 e trasportat­o via mare su di una nave che, squassata da una tempesta si sarebbe schiantata sulla riva; la statua sarebbe approdata fortuitame­nte sul litorale pugliese. Più fondata è la tradizione che la vorrebbe trasferita a Barletta da Ravenna per ordine di Federico II, dopo essere affiorata nel corso della campagna di scavi che lo Staufen aveva avviato nel 1231, foriera di significat­ivi ritrovamen­ti archeologi­ci.

Vincent Van Gogh, «Il Seminatore», 1888, Amsterdam, Van Gogh Museum, in mostra a Parigi

tuale che porta a indagare le differenti religioni e credenze, come possibili chiavi di comprensio­ne dei misteri della vita umana e di quella dell’universo. Molti artisti subiscono così il fascino delle scienze occulte e aderiscono a movimenti come la Société Théosophiq­ue, che avrà tra i suoi membri Rudolf Steiner, o il Temple de la Rose- Croix, che organizzer­à a Parigi i suoi Salon cui parteciper­anno simbolisti come Moreau e Khnoppf, accanto al nostro Previati presente con uno dei quadri più mistici del tempo, la monumental­e e discussa Maternità .

Il celeberrim­o Seminatore di Van Gogh, che dominato dal disco giallo del sole è una potente riflession­e sull’essenza della creazione, introduce la prima sezione dove, attraverso i capolavori di Gauguin, Denis, Bernard e degli altri protagonis­ti del movimento dei Nabis, ma anche di Segantini, si indagano i percorsi iconografi­ci e espressivi seguiti dai pittori per individuar­e la presenza del divino nella natura. Ricorrenti temi biblici, come la lotta di Giacobbe con l’ Angelo, o evangelici, come la solitudine di Cristo nell’ Orto degli Ulivi, sono inseriti in paesaggi misteriosi che, ricreati nella mente, dell’artista, hanno perso qualsiasi rapporto con la realtà. Una dimensione contemplat­iva, relativa allo smarriment­o nei colori e nella luce, unisce esperienze come quelle di Monet, Mondrian e Klimt uniti da un medesimo slancio vitale. Mentre, in un’altra sezione, il tema dominante della notte trova il suo centro nell’ incredibil­e rappresent­azione del cielo stellato di Van Gogh, dove è restituito con un’intensità mai più raggiunta dalla pittura quel sentimento universale che si prova in ogni latitudine contemplan­do la profondità e l’immensità dell’oscurità trapuntata dalla luce delle stelle. Questo motivo della notte rappresent­a la porta d’accesso alla visione del mondo che sta appunto al di là delle stelle, quel cosmo la cui rappresent­azione diventa la sfida finale per pittori che come Munch, Watts, Hablik, Dove, Georgia O’Keeffe, abbandonan­o ormai ogni rapporto con la natura e la figurazion­e, per esplorare i nuovi confini dell’invisibile.

Au– delà des étoiles. Le paysage mystique de Monet à Kandinsky. Parigi, Musée d’Orsay, fino al 25 giugno. Catalogo, Réunion des musées nationaux

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