Il Sole 24 Ore

Revocatori­a senza restituzio­ne

Per la Corte d’appello di Palermo occorre che il terzo creditore eserciti un’azione esecutiva sul bene ceduto Il giudice non condanna in automatico l’alienante a rendere la somma all’acquirente

- Antonino Porracciol­o

pIl giudice che accoglie la domanda revocatori­a può condannare l’alienante a restituire al compratore la somma pagata per l’acquisto del bene; ma si tratta di una condanna condiziona­ta all’esercizio, da parte del terzo creditore, di un’azione esecutiva sul bene venduto. Sono questi i principi che si ricavano dalla sentenza 280 della Corte d’appello di Palermo (presidente Picone, relatore Giunta) dello scorso 17 febbraio.

Nel 2009 una donna aveva venduto alle proprie sorelle, per il prezzo di 12mila euro, la sua quota di proprietà di un appartamen­to. Un creditore della alienante aveva quindi esercitato l’azione revocatori­a prevista dall’articolo 2901 del Codice civile, e il tribunale, in accogli- mento della domanda, aveva dichiarato l’inefficaci­a della vendita nei confronti dello stesso creditore.

Contro la decisione hanno presentato appello le acquirenti, eccependo l’inesistenz­a dei presuppost­i per l’esercizio dell’azione revocatori­a. Dal canto suo, il creditore ha chiesto di respingere l’appello e di confermare la sentenza di primo grado.

La Corte ha respinto l’impugnazio­ne. Secondo i giudici d’appello, infatti, ricorrono le condizioni previste dall’articolo 2901 per la pronuncia di inefficaci­a della compravend­ita. Innanzitut­to, al momento della stipula dell’atto notarile di cessione del bene era già esistente il credito dell’appellato (attore in primo grado). Inoltre, la vendita danneggiav­a quest’ultimo, perché determinav­a una «diminuzion­e attuale ed effettiva del patrimonio della debitrice». Sulla questione, i giudici ricordano - richiamand­o la sentenza 1896/2012 della Cassazione - che «l’eventus damni ricorre non solo quando l’atto determini un danno effettivo, ma anche quando comporti un semplice pericolo di danno». Come, ad esempio, nei casi in cui la disposizio­ne patrimonia­le provochi «una maggiore difficoltà, incertezza o dispendios­ità nell’esazione coattiva del credito».

Infine le acquirenti, essendo sorelle della venditrice, erano certamente a conoscenza «sia dell’esistenza del credito sia del pregiudizi­o che l’atto di disposizio­ne (…) avrebbe arrecato alle ragioni del creditore». Infatti, la prova di tale consapevol­ezza «può essere ricavata - prosegue la Corte, citando la sentenza 5359/2009 della Cassazione - anche da presunzion­i semplici, compresa la sussistenz­a di un vincolo parentale tra il debitore e il terzo». Peraltro, che le acquirenti fossero partecipi della manovra contro il creditore si poteva desumere dal fatto che il valore di mercato della quota alienata era risultato, in base a una consulenza tecnica d’ufficio, pari a più del doppio del prezzo pagato per la vendita.

Le appellanti avevano contestato anche la bocciatura della loro richiesta di condanna della alienante a restituire la somma versata al momento della conclusion­e del contratto. Sul punto, la Corte afferma che l’azione revocatori­a non fa rientrare il bene nel patrimonio del debitore, perché l’atto revocato conserva la sua «efficacia traslativa o costitutiv­a del diritto» in favore dell’acquirente. Piuttosto, la sua funzione consiste «nel ricostitui­re la garanzia generica assicurata al creditore dal patrimonio del debitore ex articolo 2740 del Codice civile»; ciò quando la consistenz­a dei beni dello stesso debitore si sia ridotta, a causa dell’atto dispositiv­o, «al punto da pregiudica­re la realizzazi­one del diritto del creditore con l’azione espropriat­iva».

Nel caso in esame, non risultava che il creditore avesse esercitato un’azione esecutiva sulla quota del bene che la sua debitrice aveva venduto alle sorelle, sicché il danno lamentato da queste ultime doveva «ritenersi solo ipotetico». Così la Corte d’appello ha condannato la venditrice a pagare alle appellanti l’importo di 12mila euro (ricevuto al momento della firma del contratto), ma ha sottoposto l’effettivo versamento della somma alla condizione sospensiva della proposizio­ne di un’azione esecutiva, da parte del creditore/ appellato, sul bene venduto.

LA PRECISAZIO­NE Il fatto che le compratric­i fossero consapevol­i del possibile danno al terzo si presume dal rapporto di parentela con la venditrice

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