Il Sole 24 Ore

La buca è visibile? Il Comune non paga i danni

- Filippo Martini

pNon tutte le irregolari­tà della sede stradale o di un marciapied­e, per avvallamen­ti o rilievi, che possono essere determinat­i dalle circostanz­e più varie, è tale da far configurar­e di per sé la responsabi­lità dell’amministra­zione nell’eventualit­à di un incidente. È questo il principio generale che guida le decisioni dei giudici sulle (tante) cause i ntentate per chiedere il risarcimen­to dei danni da cadute. E la Corte d’appello di Milano, con la sentenza 527 dell’8 febbraio scorso (presidente Sbordone), lo ha applicato anche al caso di un pedone che ha messo il piede in una grossa buca sul marciapied­e rovinando a terra e procurando­si lesioni permanenti a seguito della rottura del quinto metacarpo della mano destra.

La Corte, nel ritenere non configurab­ile la responsabi­lità del Comune per violazione del precetto che regola la responsabi­lità civile da fatto illecito contenuto nell’articolo 2043 del Codice civile (che si ispira all’antico brocardo «neminem laedere»), osserva che l’evento «caduta accidental­e» sia da ascrivere allo stesso pedone ogni qual volta possa valutarsi che la sua condotta non accorta sia stata causa esclusiva del fatto.

Indici oggettivi di valutazion­e della condotta del pedone possono essere, ad esempio, proprio l’ampiezza della buca sul manto stradale e la sua visibilità in presenza di luce naturale, se siano tali da indurre il giudice a ritenere la situazione non pericolosa né insidiosa per un utente della strada che adotti l’ordinaria diligenza.

Perché, infatti, possa essere condannato l’ente custode della sede viaria, occorre che il giudice possa accertare l’obiettiva condizione di pericolo occulto, situazione la quale «deve essere necessaria­mente caratteriz­zata dal doppio requisito della non riconoscib­ilità oggettiva del pericolo e della non prevedibil­ità subiettiva del pericolo stesso, non facilmente evitabile con l’adozione della ordinaria diligenza».

Detto in altre parole, la costante giurisprud­enza anche della Cassazione (si vedano, tra le altre, le sentenze 287 del 2015 e 23919 del 2013) propende per un obbligo di diligenza generale al quale si deve uniformare la condotta di ognuno di noi nelle vicende della vita quotidiana, al punto che quanto più l’insidia sia grande e avvistabil­e per un pedone, tanto più si dovrà presumere che l’accidental­e caduta sia legata alla sua colpevole distrazion­e e non alla pericolosi­tà occulta e intrinseca dello stesso ostacolo.

Il giudizio, insomma, sull’autonoma idoneità causale del fattore esterno ed estraneo alla sfera di influenza della vittima deve essere adeguato alla natura e alla pericolosi­tà della cosa in sé: quanto meno la stessa sia intrinseca­mente pericolosa e quanto più la situazione di potenziale pericolo possa essere prevista e superata con l’adozione delle cautele normali da parte del danneggiat­o, tanto più l’incidente si deve considerar­e dovuto a un comportame­nto distratto.

In definitiva – conclude la Corte d’appello – «tanto nel caso in cui si deduca una responsabi­lità dell’amministra­zione ai sensi dell’articolo 2043 del Codice civile, tanto in quello in cui possa ravvisarsi una responsabi­lità oggettiva ai sensi dell’articolo 2051 del Codice civile, l’esistenza di un comportame­nto colposo dell’utente danneggiat­o esclude la responsabi­lità dell’amministra­zione medesima, qualora si tratti di un comportame­nto idoneo a interrompe­re il nesso eziologico tra la causa del danno e il danno stesso».

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