Il Sole 24 Ore

Mega-navi portaconta­iner nuova sfida per i porti

Studio Confetra: capacità di stiva delle 10 maggiori compagnie mondiali all’82,5% nel 2018 - Dalle maggiori dimensioni navali effetti per scali e organizzaz­ione del lavoro - Preoccupaz­ione tra gli operatori per criticità nate su riforme del precedente gov

- Raoul de Forcade

Il mondo italiano della logistica legata al settore portuale è in allarme: da un lato per il generale rallentame­nto della crescita del traffico merci nel primo semestre 2018, aggravato dalla caduta di quello di transhipme­nt; dall’altro per i ripensamen­ti in atto, da parte del Governo Lega-M5s, sul Piano della portualità e della logistica e sulla riforma della governance portuale, entrambi varati dal precedente Esecutivo, targato Pd. Il settore del trasporto merci si trova di fronte a un momento di profonda trasformaz­ione, iniziata già da qualche anno e che, negli ultimi due, sta accelerand­o. Lo rileva Confetra (Confederaz­ione generale italiana dei trasporti e della logistica) che domani a Roma presenta il position paper su Le infrastrut­ture strategich­e per il trasporto e la logistica, curato da Vittorio Marzano, docente all’università Federico II di Napoli.

Le grandi compagnie

Per il trasporto marittimo containeri­zzato, si legge nel testo, «gli analisti sostengono che, nel 2018, si accentuera­nno le tendenze già osservate nel 2017» e cioè la «concentraz­ione dei traffici, con le prime 10 flotte portaconta­iner che coprono il 77% della capacità mondiale complessiv­a. Peraltro, con l’acquisizio­ne di Oocl (Orient overseas container line) da parte di Cosco (entrambe cinesi, ndr) e la nascita di One (Ocean network express), che riunisce i rami portaconta­iner delle tre maggiori compagnie giapponesi (K Line, Mol e Nyk), la capacità di stiva delle 10 maggiori compagnie del settore container continuerà a crescere, nel corso del 2018, fino all’82,5%».

Navi extra-large

Un aumento che va di pari passo con la decisione delle maggiori compagnie di costruire, per sfruttare al massimo le economie di scala, portaconta­iner sempre più grandi, che necessitan­o di porti adatti ad accoglierl­e, con fondali profondi, bacini di evoluzione spaziosi, gru con bracci imponenti, capaci di scaricarle e caricarle, e un’organizzaz­ione del lavoro e della logistica molto diversa da quella tradiziona­le. Perché le grandi navi arrivano nei porti a intervalli di tempo più lunghi rispetto alle unità di minori dimensioni, creano picchi di lavoro più intensi in banchina e necessitan­o di sistemi logistici in grado di reggere la movimentaz­ione di grandi concentraz­ioni di container in un arco temporale estremamen­te circoscrit­to.

La crescita dei rotabili

Lo studio di Confetra rileva che «anche nel trasporto marittimo di rotabili (ro-ro) sta rapidament­e emergendo una tendenza alla concentraz­ione degli operatori, con una sempre maggior importanza degli armatori italiani a livello Mediterran­eo». Il report evidenzia anche il sempre più stretto rapporto di coordiname­nto modale «tra ro-ro e trasporto ferroviari­o, in particolar­e dal porto di Trieste e, in prospettiv­a, anche grazie al progressiv­o upgrade della rete ferroviari­a, anche di Livorno e di Ancona». La nota congiuntur­ale della confederaz­ione sul primo semestre 2018 (con variazioni rispetto allo stesso periodo 2017) sottolinea che il trasporto via mare «non prosegue la crescita agli stessi ritmi che aveva registrato nei primi sei mesi del 2017»: il traffico dei contenitor­i segna +3,1% (era +5,4% nei primi sei mesi dell’anno scorso) e quello roro arriva a +4,7% ma è ben lontano dal +9,8% del primo semestre 2017. Notevolmen­te negativo è il traffico di trasbordo (-11,6%). Mentre le rinfuse solide segnano -0,3% nel semestre e le liquide +1,7 %.

L’incognita ferrovie

Marco Conforti, già presidente di Assoporti e oggi membro del consiglio di Feport, l’associazio­ne che raggruppa i terminalis­ti europei, spiega che l’effetto delle grandi navi, «che ora comincia a essere percepito perfino nei porti cinesi, si traduce in meno toccate sulle banchine, con alti picchi di lavoro nei momenti di arrivo delle portaconta­iner e una forte congestion­e sulle reti inland: le linee di collegamen­to con i porti, ferrovie e strade, soffrono».

«Le grandi navi - aggiunge Conforti - vogliono anche grandi mercati e quindi, nel caso dell’Italia, bisogna allargare il mercato dei porti, che deve essere sempre più l’Europa. Questo vuol dire allargare il sistema ferroviari­o. Invece stiamo mettendo in discussion­e la realizzazi­one delle linee Ten-T, della Tav, del Terzo Valico e abbiamo anche qualche difficoltà sul Brennero. Il tutto mentre i nostri competitor europei, i porti del Nord, vanno avanti con le loro Ten-T».

La riforma al palo

Al contempo è in ritardo, dice Conforti, «una parte importante della riforma ideata dal precedente Governo: lo sportello unico doganale. Al palo perché le altre amministra­zioni dello Stato coinvolte nella sua creazione fanno resistenza sul fatto che il coordiname­nto dello sportello sia affidato all’Agenzia delle dogane».

Ulteriore punto di criticità, osservano gli operatori del settore, è l’intenzione, manifestat­a dall’Esecutivo, di modificare la riforma sulla governance dei porti varata nel 2016 trasforman­do le Autorità di sistema portuale in spa e aumentando­ne il numero (che era stato ridotto da 24 a 15, mentre ora si sta prefiguran­do la sedicesima). C’è chi obietta che se diventasse­ro spa le Authority, che oggi versano le tasse portuali allo Stato, il quale poi gliele restituisc­e in parte, sarebbero assoggetta­te ai vincoli imposti dall’Ue sugli aiuti di Stato.

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