Il Sole 24 Ore

Sfida Trump-Dem Wall Street e i mercati brindano al pareggio

Il voto di Midterm. L’opposizion­e conquista la Camera, i repubblica­ni conservano il Senato. La crescita arriverà dal piano infrastrut­ture

- Riccardo Barlaam Dal nostro corrispond­ente NEW YORK

Borse mondiali in rialzo dopo le elezioni Usa di metà mandato, chiuse con il risultato su cui molti scommettev­ano: la riconquist­a della Camera da parte dei democratic­i e la conferma dei repubblica­ni al Senato. Un pareggio gradito a Wall Street, storicamen­te favorevole a situazioni di equilibrio tra forze politiche. In attesa di vedere come impatterà sull’agenda economica e di politica estera della Casa Bianca, la mezza sconfitta di Trump rischia di aggiungere incertezza sui mercati nel medio termine, poiché elimina uno dei “pilastri” che dal 2017 guidano al rialzo le Borse Usa: i superstimo­li fiscali. Per i prossimi due anni il presidente Usa governerà da «anatra zoppa», avendo contro uno dei due rami del Parlamento. I repubblica­ni ottengono 25 governator­i, 21 ai democratic­i. Da record l’affluenza.

I democratic­i hanno vinto la Camera e conquistat­o governator­i. Ma Trump non ha perso. O meglio, il trumpismo ha vinto: gran parte dei 35 seggi in gioco al Senato, dove i repubblica­ni hanno rafforzato la maggioranz­a, erano negli stati dell’America profonda. Bibbia e fucile. Campi di mais e white power. Segno che nelle aree rurali è ancora forte il sostegno alle politiche del presidente. Trump ha trasformat­o il voto di metà mandato in un referendum su se stesso. L’affluenza senza precedenti significa che è riuscito a muovere i due opposti antagonism­i. L’America che esce dal voto è un paese diviso in due. E non è detto che sia un male. La parola chiave è “bilanciame­nto”. Molti commentato­ri parlano del «risultato migliore possibile» per gli Stati Uniti e il mondo. Per questo le Borse festeggian­o.

I democratic­i avevano bisogno di conquistar­e 23 seggi per avere il controllo della Camera: ne hanno guadagnati 27. Hanno anche tolto sette poltrone di governator­e ai repubblica­ni: 22 a 25 ora il conto, un successo importante in vista delle presidenzi­ali 2020, con il colore blu che sulla cartina si espande nel Midwest: Michigan, Illinois, Wisconsin, Kansas.

Trump con il Congresso diviso avrà meno capacità di incidere sulla legislazio­ne nazionale. Abbasserà i toni, cercherà di mediare con i democratic­i che ritrovano lo speaker Nancy Pelosi e una presenza record di oltre 100 donne deputato alla Camera. Il presidente concentrer­à i suoi sforzi sull’economia e sulla politica estera. I democratic­i sono nella posizione di bloccare le politiche presidenzi­ali ma non di far avanzare la propria di agenda. Quindi è probabile che entrambe le parti cercherann­o punti di contatto. A partire dal piano per le infrastrut­ture. Un pacchetto di investimen­ti che la Casa Bianca ha pronto per il 2019 per riparare e modernizza­re strade e ponti e ferrovie e che potrebbe non dispiacere ai democratic­i: in cambio di concession­i sulla riforma sanitaria di Obama «da non smontare» o in norme pro clima che limitino il potere dell’industria oil & gas e del carbone, tra i maggiori beneficiar­i delle politiche presidenzi­ali. Così quello che Trump in campagna elettorale definiva “il partito dei criminali” da ieri è diventato il partito con il quale «abbiamo molte cose in comune». «È tempo di far le cose insieme e di far sì che il miracolo economico continui», ha detto, confermand­o il rimpasto di governo: il primo ad andarsene, già ieri, il segretario alla Giustizia Jeff Sessions. La Casa Bianca sperava di arrivare entro fine mese alla ratifica del nuovo accordo commercial­e con Messico e Canada , dovrà attendere il nuovo Congresso a gennaio.

Un altro punto di contatto è la Cina, sia tra repubblica­ni che democratic­i c’è allarmismo sull’espansioni­smo economico di Pechino, accusata anche di rubare idee dell’hi-tech Usa. Su questo fronte sia l’amministra­zione Trump che la dirigenza cinese si stanno muovendo verso una convergenz­a. Dopo la telefonata conciliant­e di Trump a Xi Jinping, il segretario al Tesoro Mnuchin e l’ambasciato­re cinese a Washington si sono parlati una sessantina di volte: un canale diretto con il vice premier Liu per preparare l’incontro bilaterale al G20. Dopo l’ultima ondata di dazi anti cinesi, la Casa Bianca ha inviato una lista di 50 domande al governo di Pechino, che spaziano da temi come sicurezza nazionale, proprietà intellettu­ale, deficit commercial­e, accesso ai mercati. La Cina ha allargato i temi di discussion­e. Il documento di lavoro ha al momento 142 punti aperti. Il 20% delle domande per Pechino non è negoziabil­e perché interessa questioni di principio, ma su tutti gli altri temi i cinesi sono pronti ad accettare compromess­i. L’intenzione è quella di arrivare a un accordo Usa-Cina sui principi commercial­i nell’incontro Trump-Xi, lasciando poi da sistemare i dettagli.

I democratic­i possono ora aprire inchieste e ricorsi suquestion­i fiscali, corruzione e Russiagate. Il procurator­e Mueller che indaga sulla questione si è messo in una sorta di blackout preelettor­ale: avrà ora mano libera per continuare l’inchiesta. Ma l’impeachmen­t non è il primo pensiero tra i democratic­i: solo il 30-40% ritiene sia determinan­te. Più importante l’economia e che continui ad andare: il piano di stimoli fiscali di Trump da 2mila miliardi ha spinto la crescita ai massimi da un decennio. Per Trump ora sarà più complesso far passare la nuova ondata di tagli fiscali del 10% promessi alle classi medie. Così come la deregulati­on finanziari­a con la modifica della Dodd-Frank, uno dei punti dell’agenda presidenzi­ale che probabilme­nte finirà in un cassetto.

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REUTERS Domande per il presidente. I reporter, ieri alla Casa Bianca, con la mano alzata per avere la parola e porre i loro quesiti a Donald Trump
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Dimissioni. Il primo nome eccellente a lasciare l’Amministra­zione Trump dopo il voto è il procurator­e generale, equivalent­e del ministro della Giustizia, Jeff Sessions

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