Il maggior controllo interno complicherà la politica estera
Il presidente continuerà a cavalcare temi negativi e divisivi
Sono così pochi che non è difficile immaginare quali leader mondiali l’altra notte si augurassero un pieno successo elettorale per Donald Trump: Vladimir Putin, il principe ereditario saudita e l’israeliano Bibi Netanyahu. Per ragioni diverse, ognuno dei tre aveva la necessità di avere quel presidente americano saldamente al potere a Washington.
Per tutti gli altri che preferirebbero un presidente più internazionalista, più attento agli accordi sul clima e meno incline alle guerre commerciali, è stata una serata di moderata soddisfazione. Qualche settimana prima di Midterm un sondaggio del Pew Research Center di Washington, rilevava un crollo dell’immagine americana a partire dal 2016, l’anno dell’insediamento di Trump.
Fra gli intervistati nei 25 paesi del sondaggio, il 70% non aveva nessuna fiducia nel presidente. Il distacco era ancora più evidente fra i principali alleati degli Stati Uniti: solo il 25% dei canadesi, il 10 dei tedeschi e il 9 dei francesi mostrava simpatia per Trump.
Ma ovunque un’opinione positiva verso gli Stati Uniti e i valori che rappresenta, restava al di sopra del 50%. Perché se la geo-politica e la geo-economia ci dicono che da tempo siamo in marcia verso un mondo multipolare spartito con russi e cinesi (soprattutto con questi ultimi), se interpellata, la maggioranza degli europei continua a voler camminare accanto agli Stati Uniti.
Con le stesse preoccupazioni degli americani per i loro affari interni, per lo stato del mondo la comunità internazionale si chiede quale presidente ci abbia restituito Midterm: un leader più moderato dopo la sconfitta alla Camera dei rappresentanti e riguardo ai governatori in alcuni stati importanti? Più attento alla diplomazia, alle alleanze date e al dialogo con i concorrenti?.
«Quando guardate agli Stati Uniti dovete andare oltre il presidente, al Congresso» , dice Ian Brzezinsky, esperto di questioni strategiche di Atlantic Council e figlio del Consigliere per la sicurezza nazionale di Jimmy Carter, Zbignew Brzezinsky.
In questo caso il risultato di Midterm è positivo. Se non il Senato, la Camera dei rappresentanti è ora molto più distante dalle ragioni per cui Netanyahu, il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman e Vladimir Putin si auguravano una vittoria repubblicana: la maggioranza democratica è contraria a cancellare l’accordo sul nucleare iraniano, a permettere al giovane principe saudita dimettere a ferro e fuoco il Medio Oriente, a indagare fino a quale punto la Russia abbia mestato alle presidenziali del 2016. E vuole affrontare la questione dello squilibrio commerciale americano senza imporre dazi al mondo.
Come accade a ogni elezione di medio termine, il presidente di solito perde il controllo di almeno una camera e impara la lezione, bilanciando i comportamenti. Farà così anche Trump o, colpito nel suo orgoglio, sullo scenario internazionale si comporterà come una belva ferita? Negli ultimi giorni di campagna, quando i consiglieri lo imploravano di lasciar perdere la questione migranti - che per gli americani non è un’emergenza - e parlare di crescita economica, Donald Trump aveva continuato a raccontare falsità sui primi.
Perché parlare di economia era “noioso”. Un comportamento autolesivo per un presidente uomo d’affari, che spiegava la dimostrata vocazione di Trump a preferire temi negativi e divisivi, a quelli positivi. È con questa natura che amici e avversari dovranno fare i conti nel prossimi due anni. Dove sarà possibile posporre decisioni e accordi fino alle prossime presidenziali, nessuno vorrà investire né rischiare più del necessario con l’America di Donald Trump.