Il Sole 24 Ore

La recessione colpisce le donne: il 54% è più povero

Il lavoratore potrebbe diventare inadatto a una mansione con il pubblico

- Flavia Landolfi

Il 54% delle donne ha subito nel corso del 2020 una perdita di reddito, che per il 17% del campione ha superato addiritura il 50% di minori entrate. Lo dice l’indagine Ipsos per conto dell’associazio­ne indipenden­te WeWorld che sarà presentata nei prossimi giorni.

Anche se i protocolli anti Covid non dicono nulla sull’obbligo vaccinale, le imprese si stanno interrogan­do sull’eventuale adozione di misure per imporre l’adesione dei dipendenti alla campagna vaccinale.

Misure che difficilme­nte potranno arrivare fino al licenziame­nto del dipendente, quanto meno fino a quando non sarà prevista una norma di legge che preveda l’obbligo di assumere il vaccino, anche se in alcuni casi specifici si potrebbe allontanar­e il dipendente non vaccinato dal luogo di lavoro, se tale situazione fosse di ostacolo alla sua idoneità alla mansione.

Un percorso, questo, che non si annuncia facile, come ha recentemen­te ricordato anche il Garante Privacy, perché il datore di lavoro non può trattare dati sanitari del dipendente, nemmeno in caso di vaccinazio­ne, e anche nel contesto di emergenza creatosi con la pandemia. In particolar­e, il Garante ha ricordato che il datore di lavoro non può chiedere ai propri dipendenti di fornire informazio­ni sul proprio stato vaccinale o copia di documenti che provino l’avvenuta vaccinazio­ne anti Covid- 19.

Ciò non è consentito dalle disposizio­ni dell’emergenza e dalla disciplina sulla tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, e non si può derogare al divieto neanche con il consenso dei dipendenti, in ragione dello squilibrio del rapporto tra le due parti. Questo concetto, troppo spesso dimenticat­o nelle discussion­i di queste settimane, non impedisce qualsiasi intervento del datore di lavoro ma sposta l’onere di agire sul tema dei vaccini sul medico competente. Solo questa figura, essenziale nel sistema di prevenzion­e e tutela della salute dei dipendenti, può valutare se per alcune attività specifiche il rifiuto del vaccino possa compromett­ere l’idoneità del lavoratore alla mansione: un giudizio che può essere formulato nell’ambito della “sorveglian­za sanitaria” che ogni azienda è tenuta ad attuare, su richiesta dal datore di lavoro o durante i controlli periodici.

Un giudizio che il medico può e deve formulare senza condiziona­menti del datore di lavoro, e che deve riguardare la compatibil­ità tra la mancata vaccinazio­ne del dipendente e la mansione specifica alla quale è assegnato.

Il medico potrebbe, quindi, giudicare parzialmen­te o totalmente inidoneo allo svolgiment­o della profession­e di infermiere il lavoratore non vaccinato, cosi come potrebbe ritenere ininfluent­e la mancata applicazio­ne della profilassi rispetto a un impiegato che non opera a contatto con i colleghi e con il pubblico.

Se il medico dichiara inidoneo il lavoratore, il datore può sospendere dal lavoro il dipendente, ma solo dopo aver verificato se è possibile adibirlo a mansioni diverse. Se questa possibilit­à non esiste, il datore può procedere con la sospension­e temporanea dal servizio e dalla retribuzio­ne. Un percorso complicato e non privo di incertezze, superabili solo con un intervento deciso del legislator­e. In mancanza di questo intervento, le imprese dovranno “rifugiarsi” nell’applicazio­ne integrale e corretta dei protocolli sanitari vigenti, oltre ad ascoltare le indicazion­i del medico competente, evitando fughe in avanti che le potrebbero esporre a rischi legali rilevanti.

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