«Torino ancora olimpica? Io dico sì»
«La nostra eredità, un progetto innovativo con Milano. Ma se nel 2032 pure con Genova...»
«Mi piacerebbe molto». Sergio Chiamparino, presidente della regione Piemonte, sindaco nella Torino olimpica nel 2006, ammette che la prospettiva di un ritorno dei Giochi sarebbe davvero entusiasmante. «L’ipotesi di un tandem con Milano è suggestiva». Certo la strada è lunga, il percorso spezzato di Roma è una cartolina troppo vicina per non essere considerata, ma «si potrebbe cominciare a costruire un ragionamento tutti insieme». Chiamparino premette di non aver sentito la sindaca Appendino: «Quello che so è che i suoi rapporti con Sala sono buoni. Per il resto, ho solo letto sui giornali quanto è accaduto a Lima, la mia è soltanto un’opinione generale, è chiaro che sarebbe necessario approfondire molte cose».
Torino olimpica è una storia che può ripetersi?
«Sì, naturalmente con modalità del tutto nuove, guardando al futuro senza dimenticare l’eredità che i Giochi hanno lasciato. Un’eredità ancora forte. Ancora oggi mi capita di essere fermato da qualcuno che mi dice sorridendo: “Io ai Giochi ho fatto il volontario”».
La maggior parte dei torinesi, ma pure degli italiani che hanno visitato Torino negli ultimi anni, dà un giudizio positivo su quell’avventura. Qualcuno, però, ritiene che il prezzo per una città più bella sia stato troppo alto.
«Il comitato organizzatore per la parte gestionale ha chiuso i suoi conti con un avanzo di 10 milioni di euro, l’agenzia olimpica sta affrontando gli ultimi contenziosi con un margine di sicurezza che consentirà forse di ottenere lo stesso risultato».
Ci furono, però, aggravi finanziari per le casse del Comune.
«Certo un appesantimento finanziario ci fu, le spese dei trasporti furono prese in carico dal Comune, ma sono state opere che hanno cambiato la città e che ora sono un patrimonio di tutti. Si sarebbe potuto spendere di meno? Probabilmente sì, ma alcune di quelle spese hanno consentito che la città fosse più coinvolta. Avremmo potuto organizzare le premiazioni nei diversi siti di gara, ma scegliere la soluzione più spettacolare, quella della Piazza delle medaglie che tutti ricordano, contribuì a rendere quell’Olimpiade indimenticabile».
Si potrebbero riutilizzare diversi impianti?
«Sci alpino, sci di fondo e biathlon, il palasport olimpico: partiremmo da una base importante, naturalmente da verificare. Tutte le scelte andrebbero naturalmente studiate con Milano».
Ci sarebbe la pista abbandonata di bob di Cesana al centro di tante polemiche.
«C’è un progetto per una trasformazione in funzione turistica dell’impianto. Quella vicenda, però, appartiene a un’altra era olimpica. Allora pensammo di coinvolgere anche i vicini francesi nel programma, fra le altre cose proprio per il bob, ma il Cio fu contrario. Mi sembra che oggi questa elasticità sia ufficialmente contemplata».
Insomma, Milano 2026 potrebbe contare sull’esperienza di Torino e del Piemonte.
«Certo è chiaro, quel know how che funzionò così bene andrebbe…ringiovanito. Si potrebbe lavorare per esempio sul tema della sostenibilità ambientale. Ma i presupposti per intavolare un discorso ci sono».
Il 2026 è relativamente vicino. Con la doppia assegnazione a Parigi 2024 e a Los Angeles 2028, la prospettiva dei Giochi estivi, invece, si è allontanata di parecchio. Ma lei ci ha mai pensato?
«Non posso immaginarmi ancora amministratore nel 2032. Però una proposta fortemente innovativa ci sarebbe».
Quale?
«Ha presente quello che una volta si chiamava triangolo industriale? Genova, Milano, Torino: tre grandi città con i rispettivi territori, in un arco di poco più di 100 chilometri, raggiungibili con il treno in pochissimo tempo. L’era del gigantismo è finita, c’è spazio per candidature innovative, questa lo sarebbe».
Le sembra più intrigante di quella di un possibile ticket invernale più ravvicinato con Milano?
«È sempre più intrigante provare una cosa nuova che ripeterne una già fatta. Ma l’idea dei Giochi invernali con Milano mi piace, soprattutto la possibilità di proporre un progetto moderno che superi ogni competizione localistica».
Come lo vedrebbe un referendum sul progetto della candidatura?
«Per me la gente vota delle persone perché le ritiene in grado di prendere delle decisioni. Ma non avrei nulla in contrario. Riconosco che di fronte a una scelta così importante e impegnativa, un pronunciamento popolare potrebbe essere utile. E se questo servisse per persuadere le parti politiche magari meno convinte, penso ai 5 Stelle, non ci vedrei nulla di strano».