Corriere della Sera - La Lettura
Tre ragazzi in fuga nel feuilleton Scrivere di immigrati è quasi moda
dendo di tornarsene in Africa, convinto che Miriam l’abbia dimenticato e si sia costruita una famiglia.
Di qui anche lo scarto tonale tra l’andamento della prima parte, ricco di risvolti antropologici, ben recuperati narrativamente tra l’epico e il giocoso nel far rivivere la vita nel villaggio di Marindo-Ta, tra sogni, giochi, iniziazione a uomo, riti, le figure del saggio marabutto Tafha, i dolori di Moussa, nella sua forzata e protettiva emarginazione, del padre lottatore e della struggente madre di Moussa, Aida, che «vive come se ogni minuto qualcosa di brutto potesse accadere». Un tono che si fa diverso, tra il realistico, l’avventuroso e il romantico, nella seconda parte; anche se del tono della prima parte resta soprattutto quanto si portano appresso Gora e Miriam, e in particolare la loro cultura: che è una cultura dell’anima, che Gora riversa sul bambino pieno di insicurezze, e Miriam su una impaurita amica partoriente, dando vita a quello che il medico defi- nisce «parto africano sciamanico».
Solo che a fare difetto nella seconda parte sono talune semplificate soluzioni narrative di tono romanzesco, come la facilità con cui Miriam si libera dagli sfruttatori senza mai esserne cercata, il tono edificante che accompagna l’incontro con Beppe, psicologicamente piuttosto sfocato, certa solidarietà tra sfortunati, un happy end dal singolare aggiustamento familiare; con certo buonismo a tratti mieloso, e un capitolo conclusivo che suona di troppo, e dai tratti francamente da feuilleton. Ove si può rilevare anche certa continuità col romanzo precedente, Il negativo dell’amore, nel quale Maria Paola Colombo già aveva affrontato il tema della diversità, con al centro le figure di Cica e Walker, due bambini diversi per via del cromosoma in più.
In tutto questo l’aspetto curioso è certa chiusura del cerchio da parte di questi romanzi sui migranti con quelli degli anni Ottanta, quando si sono registrati i primi corposi arrivi, fatti oggetto di narrazione da autori italiani, prima che fossero i migranti stessi a far sentire la propria voce. Col dubbio che ora, con la voce su di loro ripresa da diversi autori italiani, ci sia come un ritorno di moda. Anche se è vero che comunque il romanzo di Maria Paola Colombo, dalla scrittura lineare, ben dosata nei ritmi, si legge con scioltezza. Fermo restando che la parte migliore resta la prima, e più poetica, sia da un punto di vista narrativo, che nel tratteggio dei personaggi.