Corriere della Sera - La Lettura
Lungo il fiume una treccia di parole e segni
Fabio Franzin è uno dei poeti italiani che più meritano ascolto. Accanto alla perlustrazione dolorante della vita in fabbrica, del lavoro operaio, il poeta illumina nel dialetto di Oderzo e Motta di Livenza (una variante venetotrevigiana) il motivo della sacralità del mondo, attraverso le presenze di una terra precisa. È quella segnata dallo scorrere del fiume Livenza. È quella di un passato contadino non rimpianto, ma custodito insieme a un presente diverso. Si può dire che in Erba e aria (Vydia editore, pp. 172, € 12) questo piccolo mondo, non regressivo ma teso a un significato universale, giunga al massimo di chiarificazione. Franzin medita la lezione di Zanzotto (ma fa tesoro di più maestri, come ricorda Pusterla nell’introduzione): anche qui c’è un andare «dietro il paesaggio», che porta però direttamente al sacro, magari in forma enigmatica. Il mondo è scrittura, con l’aria, l’erba, i voli: esso è una treccia di segni, da decifrare senza pretesa, in parole rispettose, il più possibile fedeli alla verità, anche quando è sofferente: «(...) rame/ storte a scrivér vìrgoe/ e busìe, crose, segnài»; «(...) rami / storti a scrivere virgole / e bugie, croci, indizi»). Il poeta sembra dire a se stesso: apri questo grande quaderno, abbi il coraggio di guardare. Perché c’è sempre qualcosa da intendere o da custodire per chi non ha paura di accogliere.