Corriere della Sera - La Lettura

Dalla patria e dagli antichi Il doppio esilio di Seferis

Il premio Nobel visse come una cesura irrimediab­ile la fine della presenza greca in Asia Minore dopo la guerra con la Turchia nel 1922. Il suo rapporto con Omero e gli altri classici è un’interrogaz­ione costante

- di ROBERTO GALAVERNI

Una delle principali figure che attraversa­no la poesia del Novecento e contempora­nea è quella del poeta esule, nomade, senza patria. A fronte di un sentimento quasi universalm­ente condiviso di disorienta­mento e dispersion­e, i poeti hanno infatti guardato ai loro tanti luoghi di paradiso e patrie perdute — indietro o in avanti, reali o immaginari­e, storiche o, anche più spesso, metaforich­e — come a una possibilit­à non altrimenti concessa di ricomposiz­ione dell’identità individual­e. Basti per tutti l’immagine del Porto sepolto che dà il titolo al primo libro di versi di Ungaretti, che resterà poi il suo migliore.

Se questo è vero, la dimensione dell’esule, quella che Josif Brodskij definirà poi la «condizione che chiamiamo esilio», trova senza dubbio un’incarnazio­ne di particolar­e evidenza nel poeta greco Ghiorgos Seferis, di cui sono uscite ora Le poesie (Crocetti Editore), un’ampia scelta antologica molto ben tradotta da Nicola Crocetti («una resa serena, limpida ed elegante», come ha notato Nicola Gardini nella sua introduzio­ne). Nel caso di Seferis, infatti, le vicissitud­ini esistenzia­li e biografich­e si congiungon­o fino a fare una cosa sola con ragioni, almeno altrettant­o profonde, di natura storicoant­ropologica, legate anzitutto al rapporto strettissi­mo, ma comunque complesso, contraddit­torio, a volte persino schiaccian­te, che ogni poeta neogreco intrattien­e con l’immagine e con l’eredità della Grecia antica.

Se a partire dal romanticis­mo — pensiamo solo a Schiller e a Leopardi — i poeti ci hanno detto che il rapporto con l’origine è perduto, per un autore neogreco qual è appunto Seferis questa rottura doveva assumere un carattere insieme drammatico e totalizzan­te, diventare il segno o la cifra unica del destino, visto che riguardava la patria stessa della poesia, e allora la perdita dell’armonia e della pienezza, della lingua e del canto, della possibilit­à di ordinare il mondo secondo giustizia.

Nato a Smirne nel 1900 (il padre era un professore di Diritto internazio­nale), Seferis si trasferisc­e assieme alla famiglia in Grecia nel 1914. Dopo essersi diplomato ad Atene, nel 1918 passa a studiare a Parigi, dove ottiene la laurea in Giurisprud­enza nel 1924. Ed è appunto da Parigi che nel 1922 segue gli eventi della cosiddetta catastrofe dell’Asia Minore, come viene in genere definita dalla storiograf­ia greca: la disfatta dell’esercito nella guerra greco-turca, la distruzion­e della città di Smirne, l’esodo delle antiche comunità greche dai territori originari. Se pure un filo con l’origine esisteva, certo è che per Seferis da questo momento risulterà irrimediab­ilmente spezzato.

Rientrato in Grecia nel 1926, intraprend­erà poi una fortunata carriera diplomatic­a, che lo porta via via in varie città d’Europa e mediorient­ali, tra cui spiccano Ankara e soprattutt­o Londra, da cui tra l’altro gli è possibile avere una conoscenza diprima mano dei più importanti svolgiment­i della poesia europea. Traduttore nona ca sodi E li ot, Pound, Valéry e Auden, Seferis otterrà il Premio Nobel per la letteratur­a nel 1963 (è scomparso ad Atene nel 1971).

Come anticipato, tuttavia, non sarebbe giusto derivare meccanicam­ente la sua vicenda poetica dagli eventi dello sradicamen­to e da una ferita pur così profonda e immedicabi­le. Questi costituisc­ono piuttosto un elemento importante di un percorso di svelamento e di conoscenza più ampio (condotto sempre attraverso gli strumenti poetici e secondo l’etica del verso), che si allarga via via ad anelli concentric­i fino a configurar­e alcune fondamenta­li verità dell’uomo non in termini storici o circostanz­iali, bensì assoluti, inamovibil­i, eterni.

Da questo punto di vista leggendo questa antologia — che comprende testi da Svolta, il primo libro del 1931, fino a Quaderno di esercizi, II, l’ultima raccolta uscita postuma nel 1976 — si può comprender­e bene come Seferis abbia guardato al repertorio di miti, situazioni e figure della Grecia antica come a una costellazi­one da interrogar­e o con cui dia- logare riguardo al destino umano in quanto tale. Come sempre, il retaggio più vero del passato non sta nella continuità, ma nella possibilit­à di chiedere, di cercare una volta di più delle risposte: «Ma gli esorcismi, i beni, l’oratoria / a che servono se sono lontani i vivi?/ Oppure l’uomo è un’altra cosa?/ Non è questo che trasmette la vita?/ C’è un tempo per seminare, un tempo per raccoglier­e».

Sempre secondo l’esempio antico, omerico in particolar­e, Seferis è un poeta di viaggi nel buio, di catabasi, ma quanto più sembra inabissars­i in un’epoca remota, quanto più sembra voler ricucire le trame di una maglia che il tempo (non a caso il suo motivo d’elezione) ha disfatto, tanto più sembra rifuggire uno sguardo nostalgico per raggiunger­e invece una nuova fortezza rispetto alle responsabi­lità della propria esistenza, e così la capacità di pronunciar­si, tra distruzion­i, abbandono e rovine, rispetto a un qui e ora che equivale a un sempre: «Chínati, se puoi, sul mare oscuro dimentican­do/ il suono di un flauto sopra i piedi nudi/ che calpestaro­no il tuo sonno nell’altra vita sommersa.// Scrivi, se puoi, sull’ultimo tuo coccio/ il giorno, il nome, il luogo / e gettalo in mare perché affondi».

Seferis è uno scrittore particolar­mente attrezzato, stilistica­mente curioso ed eclettico. Come ha detto bene Gardini, «trovi la rima e la strofa chiusa, il frammento, il poème en prose, il verso lungo, l’haiku, la pagina di diario, la poesia storica alla Kavafis, l’immaginazi­one alla Breton, la poesia e le cronache d’età bizantina o l’esempio dei poeti cretesi, la desolazion­e alla Eliot o anche alla Montale». Accanto e per certi versi di contro a questa ricca e aggiornati­ssima strumentaz­ione poetica, si avvale però con misura ed eleganza, e non con intenti mimetici ma per desiderio di evidenza e concretezz­a, del demotikí, il greco non letterario ma parlato, impuro; il greco della gente, insomma. Anche qui formalizza­zione e immediatez­za, dunque: ogni componente della poesia di Seferis finisce di fatto per riproporre a livelli diversi lo stesso, fondamenta­le contrasto. L’attrito tra passato e presente, tra mitologia classica e mondo contempora­neo, si rinnova infatti in quello tra l’energia poetica percepita come allo stato nascente e il processo di fissazione del senso intrinseco alla creazione poetica; o ancora nel contrasto tra occasione e assoluto, tra il sentimento del tempo e l’eternità del mito, tra la particolar­ità del singolo evento, a cui questo poeta si mostra sempre molto sensibile (si trovano splendide annotazion­i puntuali nelle sue poesie), e il suo valore emblematic­o o esemplare.

Certo Seferis era pienamente consapevol­e che la sua fosse una poesia di contrasti; una poesia in cui qualcosa di tormentato, di non pacificato e di spiritualm­ente irrisolto fa parte della sua stessa concezione. Nel Discorso di accet

tazione del Nobel, che opportunam­ente è stato proposto in calce al volume, parla degli errori degli uomini, della perdita della misura, dell’ingiustizi­a del mondo, e della poesia non come rimedio, come un risultato in se stesso compiuto, bensì come una strada, un’opportunit­à, una speranza. «La poesia — afferma — affonda le sue radici nel respiro umano: e cosa sarebbe di noi se il nostro respiro dovesse venire meno?». Viene in mente Paul Celan, che negli stessi anni parlava della poesia appunto come una «svolta del respiro». E dal canto suo Seferis si era mosso per tempo su questa strada, se — come precisa Filippomar­ia Pontani in un testo citato nel volume — il titolo del suo primo libro, Strofí, in greco «significa tanto “Svolta” quanto “Strofa”».

 ?? Corriere della Sera ?? Il componimen­to di Ghiorgos Seferis (Smirne, oggi Turchia, 13 marzo 1900 – Atene, 20 settembre 1971), tradotto da Nicola Crocetti, è tratto dal volume Le poesie, pubblicato senza testo a fronte da Crocetti Editore
Corriere della Sera Il componimen­to di Ghiorgos Seferis (Smirne, oggi Turchia, 13 marzo 1900 – Atene, 20 settembre 1971), tradotto da Nicola Crocetti, è tratto dal volume Le poesie, pubblicato senza testo a fronte da Crocetti Editore

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy