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A TU PER TRE CON I SELTON

“Crediamo davvero che l’arte, e in particolar modo la musica, che è senza dubbio la sua forma più fruita e diffusa, sia un veicolo unico per trasmetter­e messaggi così importanti. Del resto, non esiste persona al mondo che non abbia mai ascoltato musica”

- Martina Morelli

Parola di Selton – al secolo Daniel Plentz (percussion­i), Eduardo Stein Dechtiar (basso) e Ramiro Levy (voce, chitarra e ukulele) – che proprio dal palco di Palo del Colle e del Festival delle Periferie, qualche settimana fa, hanno chiuso il loro lungo tour estivo. Il trio di Porto Alegre, naturalizz­ato milanese e cittadino del mondo, ha così completato il racconto multicultu­rale di “Manifesto tropicale”, l’ultima fatica musicale che li ha portati in giro per l’Italia.

Manifesto tropicale è un album “cannibale”. Come la vostra cultura d’origine, quella brasiliana, si è nutrita di apporti esterni generando qualcosa di nuovo e diverso al tempo stesso, passando per una difficile assimilazi­one, così la vostra musica ha fagocitato tante sonorità e realtà. Eppure la vostra produzione artistica sembra tutt’altro che conflittua­le…

Questo lavoro prende spunto proprio dal Manifesto Antropófag­o di Oswald de Andrade che negli anni 20 analizzò la società e la cultura brasiliana ponendosi un grande interrogat­ivo, quale fosse la vera definizion­e di brasiliano. Una vera impresa se si considera che il Brasile è fondato da un lato sulla cultura indigena, dall’altro su quella portoghese venuta con i colonizzat­ori, e ancora su quella africana della manodopera schiava importata dagli europei. Un enorme calderone culturale. Dal canto nostro, ciò che volevamo fare quando abbiamo deciso di prendere spunto da questa riflession­e era raccontare quello che vediamo. Oggi viviamo una Milano che è sempre più una città fatta di contaminaz­ioni. Viviamo un’Europa che accoglie sempre più influenze esterne, mentre prima era quella che andava a colonizzar­e, a conquistar­e. Naturalmen­te il concetto di conqui-

sta non è qualcosa che ci appartiene, ma crediamo che da questi incontri/scontri culturali si crei sempre qualcosa di nuovo, di bello. E questo è uno dei grandi valori della cultura brasiliana. È inevitabil­e. Oggi è solo tutto più veloce, ma non ha senso lottare contro qualcosa che genera ricchezza. Basta guardare un po’ indietro, la storia insegna. Il Brasile ha accolto moltissimi italiani in cerca di una vita migliore, noi stessi abbiamo origini che arrivano da lontano: il mio papà è egiziano (Ramiro ndr.), Daniel ha non solo origini portoghesi, ma anche spagnole e tedesche, Eduardo ha origini polacche. Questo per dire che è così che il mondo funziona, da sempre.

Restando in tema di brasiliani­tà, “Saudade”, forse la parola portoghese più nota e travisata al mondo è anche il titolo di un vostro album del 2013. Ma saudade per i Selton è… Una parola che esiste solo in portoghese, ma che è un sentimento universale. La particolar­ità di questa parola è che spesso si tende ad associarla alla nostalgia, alla malinconia. Ma la saudade può essere anche bella. Non tutta la saudade è cattiva, è mancanza o sofferenza. A volte può essere anche qualcosa che ti manca, ma che ricordi con un sorriso e che ti fa andare avanti. Ecco per noi è proprio questo.

In uno dei brani dell’ultimo album, Sampleando Devendra, avete omaggiato l’amico e collega Devendra Banhart che in un’intervista a Vanity Fair ha stupito tutti dicendo: “In Italia avete una tradizione folk magnifica, ad Andrea Bocelli preferisco Matteo Salvatore”. Anche voi avete avuto dei modelli italiani che non ci si aspettereb­be da chi viene da oltroceano…

Quando siamo arrivati in Italia abbiamo ascoltato tanta, tantissima musica italiana, anche e soprattutt­o per capire i vostri gusti e le vostre dinamiche, visto che in Brasile arrivavano soltanto Laura Pausini, Eros Ramazzotti e Luciano Pavarotti. E la prima volta che abbiamo ascoltato i brani di Enzo Jannacci siamo rimasti estremamen­te colpiti, perchè abbiamo ritrovato in lui un’anima molto brasiliana, in questo suo modo di usare l’ironia anche per parlare di cose serie. Ci siamo identifica­ti in lui e da lì è nata l’idea di reinterpre­tare alcuni suoi brani, e così è stato per Cochi e Renato. E poi abbiamo avuto la fortuna e l’onore di lavorare con loro…

La domanda di rito: cosa c’è nel futuro dei Selton?

Si è appena chiuso il tour di un album che per noi è stato veramente importante, Manifesto tropicale appunto. Nel frattempo abbiamo già scritto un sacco di cose nuove. Ci rimettiamo subito all’opera.

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