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RAFFAELLO: IL MIRACOLO DELLA BELLEZZA

A 500 anni dalla morte, il mondo intero celebra il grande maestro di Urbino, che con la sua grazia ha rivoluzion­ato e condiziona­to per sempre l’ispirazion­e artistica a venire.

- Elisabetta Pasca

Una meteora è un lampo fulmineo di luce che squarcia il buio della notte, manifestaz­ione fuggevole eppure suggestiva, metafora efficace di sfolgorant­e incanto destinato a durare il tempo di un bagliore e poi niente più. La bellezza, nella sua accezione più elementare, è riconducib­ile forse proprio a questo miscuglio di meraviglia e caducità, di straordina­rio che si consuma e scompare, restando però impigliato nelle maglie del ricordo e della sensibilit­à individual­e e collettiva; la grande scommessa dell’uomo di ogni tempo, di fronte a tale precarietà, consiste allora proprio nel coraggioso e indomito tentativo di fissare il bello nella sua essenza più autentica e sincera, per sempre. La mano dell’artista è depositari­a della missione di acciuffare l’eterno, di tentare di fissarlo in forme e significat­i. L’arte è d’altro canto elisir di lunga vita, è l’antidoto più potente e dolce contro la transitori­età: l’artista per vocazione trasfigura la realtà per proseguirl­a elevandola coi più alti intenti e Raffaello Sanzio, il sommo Maestro del Rinascimen­to, è stato colui il quale, più di ogni altro, grazie al suo tratto divino e al suo talento eccezional­e, ha saputo essere capace di compenetra­re i misteri del creato e vincere il ricatto del tempo con la sola forza della sua pittura. Scompare prematuram­ente, a soli 37 anni, all’apice della sua vita e della sua carriera: si spegne all’improvviso la sua fiamma, ma il maestro non è meteora, Sanzio è squarcio nello spazio-tempo.

Accadeva 500 anni fa, mentre la Città Eterna era alle prese con le celebrazio­ni ecclesiast­iche del Venerdì Santo: era il 6 aprile del 1620 e il pittore cedeva alla malattia che lo aveva prostrato per 15 giorni, causata, a detta del biografo Vasari,

dai suoi appassiona­ti “eccessi amorosi”. Dolore e sbigottime­nto prostrano la città di Roma. Le similitudi­ni cristologi­che del trapasso di Raffaello Sanzio non fanno che rafforzare un’opinione già consolidat­a presso i suoi contempora­nei: all’apogeo del successo, Sanzio è infatti a buona ragione considerat­o “divino” e capace di realizzare con grazia e pienezza la sintesi perfetta dell’armonia pittorica e architetto­nica, sopravanza­ndo la natura stessa. Il Principe dei Pittori, nato a Urbino nel 1483, figlio d’arte e allievo del Perugino, una carriera sfolgorant­e che lo porta da Urbino a Perugia, a Firenze e a Roma, conosce in vita un’ascesa gloriosa che lo conduce ad essere l’uomo simbolo del Rinascimen­to. Il mondo rappresent­ato da Raffaello, anima gentile, spirito acuto in grado di conquistar­e i personaggi più insigni del suo tempo, è una realtà sublimata, scarnifica­ta dalle sue implicazio­ni più terrene, come le sue meraviglio­se, ieratiche Madonne, per assurgere a una dimensione trascenden­te: nella lotta atavica tra uomo e natura, Sanzio segna un punto fondamenta­le. La sua opera si colloca così quale pietra miliare per chi verrà dopo di lui, alfabeto e grammatica per il linguaggio artistico successivo, tanto da far scaturire una tendenza di pittura alla sua maniera. Raffaello Sanzio è consacrato Messia della bellezza, genio angelico la cui potenza creativa è ben sintetizza­ta dalle parole scelte dall’umanista Pietro Bembo per l’epigrafe in latino incisa sulla sua tomba al Pantheon, luogo sacro in cui il pittore stesso aveva chiesto di essere sepolto: “Qui sta quel Raffaello, mentre era vivo il quale, la gran madre delle cose temette d’esser vinta e, mentre moriva, di morire”.

Nell’epica della vita, breve quanto straordina­ria, di Raffaello Sanzio, costellata di avventure amorose e di eccessi, spicca il mito di un amore che non appassisce, che trafigge il tempo e la storia: guardando uno dei dipinti più celebri

Raffaello Sanzio, il sommo Maestro del Rinascimen­to, è stato colui il quale, più di ogni altro, grazie al suo tratto divino e al suo talento eccezional­e, ha saputo essere capace di compenetra­re i misteri del creato tramite la pittura

dell’urbinate, conosciuto come “La Fornarina”, infatti, ancora oggi è impossibil­e restare imperturba­bili di fronte alla profondità sensuale degli occhi neri che ci guardano dal ritratto. Sono gli occhi di Margherita Luti, o Luzzi, figlia di un fornaio di Trastevere, musa di Raffaello, amore eccelso, avvolto nelle brume della leggenda ma nonostante questo sempre potente ed evocativo. Sanzio la vide affacciars­i da una finestra del civico 20 di via Dorotea e se ne innamorò perdutamen­te, al punto da dedicarle subito dei versi, da volerla sempre al suo fianco. Il volto di Margherita è una irresistib­ile ossessione, che ritorna più volte nelle opere della maturità dell’artista. Anche nell’ultima tela, la Trasfigura­zione, ritorna il volto dell’amata, per la quale l’artista rimanda più volte le nozze con la sua promessa sposa Maria Bibbiena, nipote del potente cardinale. La Fornarina del dipinto è senz’altro emblema di una bellezza aggraziata nelle forme e nelle pose, manifesto dell’ideale artistico rinascimen­tale declinato dalla sensibilit­à rivoluzion­aria ed estetizzan­te del Sanzio: al braccio sinistro reca un bracciale blu e oro, su cui compare la scritta “Raphael Urbinas”, firma dell’artista e simbolo di un vincolo amoroso inestricab­ile. Pare che in origine la Fornarina recasse al dito anche un anello nuziale, poi cancellato dagli allievi di Raffaello. Che sia vero o meno, sta di fatto che, in seguito all’improvvisa morte di lui, la bellissima Margherita decise di chiudersi al mondo, rifugiando­si nel convento di Sant’Apollonia a Trastevere. Per tutto il 2020, sulla tomba di Raffaello al Pantheon verrà deposta una rosa rossa: i cuori più romantici potranno immaginarl­a come l’omaggio postumo della sua amata.

Le similitudi­ni cristologi­che del trapasso di Raffaello Sanzio non fanno che rafforzare

un’opinione già consolidat­a presso i suoi contempora­nei; all’apogeo del successo, Sanzio è infatti a buona ragione

considerat­o “divino”

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 ??  ?? In questa pagina: Ritratto di Giulio II (ante marzo 1512), La Madonna della Rosa (1518-1520)
Accanto: Cavallo dell’antico gruppo dei Dioscuri sul colle del Quirinale (1513 circa)
In questa pagina: Ritratto di Giulio II (ante marzo 1512), La Madonna della Rosa (1518-1520) Accanto: Cavallo dell’antico gruppo dei Dioscuri sul colle del Quirinale (1513 circa)
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 ??  ?? A sinistra: Madonna Tempi (1507-1508); sotto: Ritratto di Leone X tra i cardinali Giulio de’ Medici e Luigi de’ Rossi (1518-1519).
A sinistra: Madonna Tempi (1507-1508); sotto: Ritratto di Leone X tra i cardinali Giulio de’ Medici e Luigi de’ Rossi (1518-1519).
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