Chili d’oro per Jiménez de Quesada
LA SPEDIZIONE di Jiménez de Quesada nel 1536 fu sul punto di fallire. I 600 uomini che ne facevano parte avanzarono via terra seguendo il corso del Magdalena, convinti che tre golette e una frusta fossero sufficienti per trasportare i rifornimenti controcorrente. Tuttavia, le imbarcazioni furono colpite da un temporale nella baia di Cartagena e dovettero proseguire la spedizione senza cibo. La fame, le zanzare e le difficoltà del terreno decimarono le file degli spagnoli, di cui solo 300 approdarono a La Tora. Ma in seguito la loro fortuna cambiò. Quando si addentrarono nell’altopiano dei chibcha trovarono una terra molto popolata, da cui ricavarono un ingente bottino di metalli preziosi. Dedotta la tassa del cosiddetto quinto real, si divisero 150.000 pesos di oro puro, 17.000 di oro di bassa lega e 1.450 smeraldi. dell’Impero inca, accumulando uno straordinario bottino di metalli preziosi. Il suo successo stimolò la "fame dell’oro" degli spagnoli. Nel 1531, Diego de Ordás risalì il fiume Orinoco dalla foce, nell’attuale Venezuela, fino alla confluenza con il Meta, uno dei suoi affluenti, nelle Pianure che si estendono a est della cordigliera delle Ande. Laggiù, gli indiani della zona gli indicarono che dietro la cordigliera viveva un grande signore proprietario di enormi ricchezze. Ordás fu costretto a ritirarsi e morì avvelenato poco dopo. Tuttavia l’obiettivo era stato segnalato: nei pressi dell’altopiano della cordigliera orientale delle Ande, attraversato da sud a nord dal fiume Magdalena, si trovava un territorio pieno d’oro, il cosiddetto "paese del Meta". Verso quei luoghi si diresse nel 1536 un altro conquistatore spagnolo, Gonzalo Jiménez de Quesada. Avvocato educato a Salamanca, discendeva dagli ebrei "riconciliati" di Cordova. "Gentiluomo di buona costituzione", era considerato vanitoso e giocatore d’azzardo e si è parlato spesso della sua avversione per le donne. Non si sposò mai, cosa di cui incolpò l’asma, «malattia notoriamente contraria all’accoppiamento», come aveva affermato egli stesso nel 1566.
Oltre il paese del Meta
Nell’aprile del 1536 Jiménez partì per la "giornata del fiume grande", ovvero il Magdalena. Si mise in cammino via terra con circa 600 uomini e l’anno dopo si addentrò nell’altopiano colombiano occupato dal popolo dei muisca o chibcha, un insieme di territori sottomessi allo zipa, ossia il signore di Bogotá. Jiménez decise di puntare ai centri di potere locale; per questo, rispetto alle altre, la sua fu un’impresa meno sanguinaria. Tuttavia sfinì i suoi uomini e venne contestato il trattamento che riservò agli indigeni. Mentre continuava a cercare il paese del Meta, l’esercito di Jiménez esplorò il territorio in due direzioni: verso la valle del Neiva (nella regione di Pasca) e verso le pianure orientali.
Nel corso di queste incursioni gli spagnoli raccolsero un considerevole bottino di oro puro, limatura d’oro e smeraldi. Dopo aver detratto la quinta parte del bottino, che veniva consegnato al re, con il rimanente si coprirono le spese della spedizione e vennero pagati i partecipanti. Gli spagnoli però erano convinti che ci fosse ancora oro. Quindi, quando lo zipa di Bogotá fu catturato, gli uomini di Jiménez lo torturarono invano, fino alla morte, perché svelasse dove si trovava il tesoro.
Nel 1538, Quesada fondò una nuova città, Santa Fe di Bogotá. Lì ricevette l’anno successivo la visita di altri due conquistatori che, come lui, cercavano il paese del Meta. Uno di loro era tedesco, Nikolaus Federmann: con 200 uomini e 500 bestie da soma era partito da Coro, nell’attuale Venezuela, ed era giunto a Pasca, nella cordigliera, convinto che «all’interno quella terra fosse piena d’oro». L’altro era Sebastián de Belalcázar, un conquistatore